Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

AllaCarta è online: la mia app per i menù digitali

AllaCarta, menù contactless

È un sacco di tempo che non scrivo, principalmente perché più che scrivere prosa in queste settimane ho scritto codice. Tra le cosette che sono uscite fuori, il mio orgoglio principale è AllaCarta, una piccola applicazione che mi sono divertito a prototipare visto il proliferare di soluzioni di menù “contactless”, con QR code e URL univoco, che sono spuntate come margherite all’affacciarsi della fase 2 di questa pandemia che ci ha visti cambiare le abitudini e il modo di fruire di oggetti, posti e rapporti.

Insomma, un po’ per gioco, un po’ per mettere alla prova le mie abilità, mi sono messo a programmare un giocattolino che ho battezzato subito AllaCarta, con l’obiettivo di rendere facile la vita al ristoratore di turno che vuole offrire un servizio senza svenarsi – dato che comunque dando un occhio ai servizi che esistevano già mi ero fatto l’idea che fossero grossomodo tutti a pagamento.

tl;dr

Ho scritto un prototipo, come già specificato, di un prodottino per menù digitali. L’ho scritto tutto in Elixir per quanto riguarda il backend, e usando React e alcune cosette meravigliose per quanto riguarda il frontend. Il suo nome è AllaCarta, e quando ho tempo mi diverto a metterci qualche feature carina. Volete sapere cosa ho fatto e come l’ho fatto? Leggete oltre ;-)

Come ho creato AllaCarta

Scrivi codice di qua, scrivi codice di là, aggiungi una libreria per l’autenticazione e via dicendo, alla fine entro un paio di settimane avevo qualcosa di funzionante in mano che rispettasse l’idea di MVP che avevo in mente: “come utente desidero registrarmi, e come utente desidero creare/modificare il menù del mio ristorante da una dashboard potendolo poi visualizzare”. Avevo scritto il backend in Elixir usando Phoenix, e per il frontend mi sono ingegnato in due modi: la dashboard di modifica del ristorante l’ho scritta usando JavaScript e React, mentre per la visualizzazione del menù del ristorante ho voluto dare priorità alle performance per cui sono tornato a qualcosa di naif e velocissimo: un bel po’ di server side rendering (coi template e tutto il resto).

Ho scelto una color palette ben precisa, ho scritto il sito (su questo penso che farò un post a parte perché credo di essermi inventato un bel barbatrucco), dopodiché ho mostrato fiero il mio lavoro ad Agnese per evitare l’effetto “ogni scarrafone è bello a mamma sua” – e allo stesso tempo farmi validare l’MVP da qualcuno che ha le competenze professionali per farlo.

Il feedback più o meno è stato “è tutto da rifare”; ho fatto coaching tecnico per anni a decine di team, e indovinate chi è caduto vittima dell’amore per la propria idea e per la propria execution? Proprio il sottoscritto.

Ho provato ad andare un pochino avanti sulla traccia che avevo, ma è diventato chiaro abbastanza presto mentre continuavo a scrivere codice che non avevo idea di come continuare perché mi ero infilato in un vicolo cieco: il mio frontend aveva un enorme problema di consistenza, e io stavo faticando ad ammetterlo.

Dopo il “non ci siamo” di Agnese che aveva già fatto un primo giro e una call di qualche quarto d’ora in cui Francesco mi ha espresso tante perplessità sulla UI, ho dovuto fare i conti con me stesso: cavolo, proprio io che faccio il frontend di lavoro ho cannato l’implementazione del frontend del mio prodottino?

Ho deciso così di riscrivere il frontend di AllaCarta iterando sul codice che avevo già scritto (tanto fortunatamente fa poche cose :-D), cambiando design system di origine, ridisegnando le parti più importanti della UI e cambiando il template della visualizzazione del menù del singolo ristorante con qualcosa di più fresco. Piano piano ci sono arrivato, e ho concepito quella che più o meno è la versione attuale di quella pagina. Effettivamente piaceva di più anche a me, e quando mi sono presentato da Agnese per una nuova product review stavolta l’esito è stato tutt’altro che un pollice verso. Ero tornato “on track”.

Ho colto l’occasione per aggiungere anche le interazioni drag and drop alla dashboard, e a quel punto ho mandato il tutto in produzione. A ridisegnare tutto ci ho messo più o meno una settimana, più un’altra settimana di bugfix e piccoli miglioramenti incrementali: in circa un mese ho messo su un MVP molto minimale di un prodotto con un free tier, per vedere che succede. E non potrei essere più soddisfatto di così.

E adesso?

Adesso vediamo! Intanto se conoscete ristoratori, barman o altri appartenenti a questa categoria consigliate e fate consigliare AllaCarta. Sto radunando un po’ di feedback, potete sempre scrivere a [email protected] per qualsiasi tipo di impressione o di richiesta di supporto. Probabilmente nei prossimi giorni scriverò ancora sulla tecnologia che sta dietro il prodotto :-)

Il Macbook Pro 13 da oggi ha di nuovo una tastiera decente

Macbook Pro 13

Ci sono voluti anni e un po’ di esperimenti ma finalmente ci siamo: Apple ha finalmente aggiustato i suoi portatili (almeno i Macbook Pro), rimettendoci una tastiera che forse non farà perdere i milioni alla casa di Cupertino ma soprattutto consentirà a noi utenti di scrivere al meglio senza farci sentire come se stessimo digitando il PIN sul tastierino del bancomat.

È sempre stata la metafora migliore che per me descrive perfettamente come ci si sente a usare quello scempio che è la tastiera degli ultimi Macbook; tra la corsa bassa, il piattume e la larghezza eccessiva dei tasti io veramente non capisco come qualcuno abbia potuto dire che “hm, il feeling non è così male se ti ci abitui”. Forse gente che nella vita ha solo voglia di premere i tasti del videoregistratore?

Tornando a noi, finalmente si può tornare a spendere un puttanaio di soldi su queste macchine con un motivo in meno per sentirsi in colpa. Hooray!

"Come stai?"

Empty classroom

Penso sempre al blog, “adesso scrivo sto post e faccio il botto”, “adesso documento come ho fatto questa cosa complicatissima”, poi invece i motivi che mi spingono davvero alla scrittura sono altri. Come questo bellissimo post di Lorenzo.

E io come sto?

Io sto bene. Mi mancano un po’ le uscite con gli amici, andare in un ristorante, ma è una cosa che fatta un paio di volte sono talmente orso che posso tornare a scordarmela per un paio di mesi. Il mio carattere è decisamente affine non tanto al clima di terrore che ci impone la pandemia quanto allo stare chiusi in casa – non perché sia terapeutico, ma perché me la sto proprio godendo.

Parlando di lavoro, il mio team sta lavorando completamente da remoto da due mesi e a livello di output direi che non ci possiamo lamentare. Certo, più che lavoro remoto/distribuito questi somigliano a arresti domiciliari, e sicuramente qualche azienda proverà a marciarci per rifiutarsi in futuro di provare del vero remoto, senza in realtà alcuna ragione pratica alla base. Lascio a voi i commenti su questo modo di concepire il lavoro della conoscenza come se fossimo invece in catena di montaggio.

Nel tempo libero, prevalentemente durante il weekend, il mio prodottino sta prendendo forma. Una forma tipo mostro di Frankenstein, infatti ho chiesto al povero Francesco una mano lato prodotto per darmi una mano a definire un MVP degno di questo nome. Ancora non mi va di parlare delle feature, di “quello che fa”, perché sarebbe come pretendere da un feto che si laurei in medicina.

L’altro giorno ci siamo sparati una bella maratona di Frankenstein, tra il Frankenstein di Danny Boyle con Benedict Cumberbatch che potete guardare aggratise su Youtube, e Frankenstein Junior in versione integrale.

Riguardo il software e il blog (prodotto a parte), sto come al solito facendo molta più roba di quanta ne stia scrivendo purtroppo. Però giuro che metto tutto in un calderone che molto presto inizierò a smaltire, parlando di Elixir e Rust e JavaScript oltre che di come sta andando la quarantena (peraltro argomenti che trovo decisamente più appassionanti – ma questo è un problema che mi sto accorgendo di avere in questo periodo, il fatto che mi appassionano più le macchine che gli esseri umani).

Riguardo l’uscire o meno, non giudico chi lo farà a breve, penso che ci stia. Più che altro mi ritrovo molto in questo post di Brent Simmons che riporto per intero:

Some people are starting to act as if this whole thing is pretty much over. It has become more and more the norm to bend the rules, and there will be increased social pressure to go along.

I think this is important to note: you will feel bad, sometimes really bad, if you don’t go along.

But please remember that this is a sacrifice. Part of that sacrifice might be that you have to feel bad about not doing what your group is doing. But we have to do this to save lives.

Per la precisione, soprattutto nella parte iniziale: “Some people are starting to act as if this whole thing is pretty much over”. L’abbiamo capito tutti che non è “over” manco per il cosiddetto? Siamo tutti allineati?

Insomma, personalmente altro che Fase 2: io penso che sarò un hikikomori pure fino alla Fase 10. :-)))

Ovviamente sono consapevole che c’è chi non ne può più, caratteri diversi dal mio che soffrono – o individui che semplicemente per motivi economici devono uscire. A queste persone va il mio abbraccio più forte.

Ho deciso che questo messaggio mi piace, è molto meglio di qualsiasi “ce la faremo” e mi riporta alla mente il tema centrale di un videogioco che ho adorato e che ho giocato poco tempo fa, Death Stranding. Quindi lo ripropongo paro paro.

E tu come stai?

Una domenica di quarantena (ovvero un wrap up di quello che sto facendo, e alcuni consigli utili)

Una sorprendente domenica di quarantena, proprio così. Vorrei sempre scrivere di più, ma la verità è che non sono bravo coi titoli, e non mi va nemmeno di usare dei titoli precotti come numeri o altre cavolate del genere. Questa quarantena mi sta innescando un’inaspettata produttività su parecchi fronti, quando non mi assale la depressione nel vedere i miei coetanei così impattati da questa imminente depressione economica, noi che non abbiamo nemmeno fatto in tempo a riprenderci dallo scoppio della bolla dei mutui sub-prime.

Nonostante questo però sto facendo un sacco di cose! Mentre Agnese si diletta in cucina con risultati insperati, lei poi che mi si era presentata come una che “io non so fare quasi manco un uovo al tegamino”, io leggo codice, scrivo codice, leggo articoli, leggo libri, parlo con amici, gioco a Call of Duty1.

  • Slack e Discord ormai sono la mia seconda casa. Se volete farvi una chiacchierata con dei programmatori con le palle ipercubiche potete unirvi allo Slack di RomaJS, o allo Slack internazionale di functional programming, che è pieno di geni e spunti assurdi; basta che vi ricordiate di fare join del canale #italy! Su Discord nel frattempo l’associazione culturale Lokendil ha il suo server molto ben organizzato dove ci sono vari tavoli e almeno una partita per sera :-) ma il divertimento vero è solo sul server di Alberto che è ancora marchiato come “lavori in corso” e dove mi trovate in maniera quasi permanente.
  • Sto leggendo, ancora, il Ciclo di Death Gate.
  • Sto scrivendo un mio prodotto. È un’idea che ho avuto a 22 anni, e niente di meglio di una quarantena e di un’imminente crisi economica per renderla reale e aspettare di poterla validare al primo momento propizio.
  • Leggo di Andrea, e dei suoi post sulla serie più seguita della storia dopo Lost, X-Files e Belfagor: il Presidente Conte e le sue live su Facebook.
  • Leggo di Brent Simmons, che ha perso il lavoro, ed è così competente nonché fortunato da avere già molteplici piani B, C, D da valutare.
  • C is not how the computer works.
  • Sto continuando a lavorare alla suite di test di integrazione di Apache CouchDB, di cui sono diventato committer, ma questo è qualcosa che vorrei trattare in un post a parte.
  • I giocatori della mia campagna di Dungeons & Dragons, accidentalmente miei colleghi “nella vita reale”, continuano a fare a botte ogni settimana (circa) con i peggiori orrori del Monster Manual.
  • Sempre per i consigli di lettura sparsi e non richiesti: Tech Debt and the Pragmatic Middle Ground.

Tutto sommato poteva andarmi peggio. È una bella quarantena.

  1. “Call of Duty non mi avrà mai” è stato uno dei motti videoludici sin dai primi vagiti della saga. Ragazzi, io i fissati degli sparatutto di guerra non li capisco, non c’è niente da fare, e come saga continua a farmi abbondantemente cacare. Tuttavia, questo Warzone, che è il battle royale2 di Call of Duty, è un po’ meno peggio degli altri e comunque giocato con gli amici ti fa fare due risate (insieme alle madonne di cui ho perso il conto, e credo abbiano perso il conto anche i miei vicini). Nella prima release di questo post, avevo lasciato questa footnote in sospeso. Grazie Julian! 

  2. Yay! Ho inserito la mia prima footnote dentro una footnote, come David Foster Wallace! Ma dicevo, anzi scrivevo: ormai le battle royale stanno ai giochi come le stories stanno ai social network. Tra un po’ avremo una modalità battle royale anche dentro Excel, dove devi fare fuori Clippy entro un tempo limite. 

COVID-19 tra remote working, routine abbandonate e crisi di identità

Avevo in mente da tanti giorni di scrivere qualcosa di strutturato riguardo al lavoro remoto, a questo COVID-19 che ci costringe dentro casa, ma la verità è che mi sento un po’ stanco e non riesco a scrivere per bene, il che è strano. Da una parte mi sento inibito, perché scrivere qualcosa tipo “come tirare fuori il meglio dal lavoro remoto” mi sembrerebbe irrispettoso verso le persone che per questa pandemia stanno male sul serio, dall’altra fatico davvero tanto ad aprire Facebook, a leggere notizie di attualità.

E devo ammettere che mi pesa rinunciare a una routine che si era venuta a stabilire negli anni con la mia bellissima scrivania in ufficio, un posticino che mi sono curato per tanto tempo e a cui adesso mi è così difficile pensare in ottica di abbandono. Strano che a dire questo sia proprio io, che come “cornerstone” della mia vita lavorativa ho:

  • Un approccio remote-first
  • Un mood generale non proprio di un animale da ufficio
  • Vent’anni alle spalle passati a una scrivania, in camera mia, a casa mia e dei miei, in un paesino fuori Roma

Essendo cintura nera di remote working per questi e altri motivi, volevo scrivere qualcosa appunto ma mi riesce difficile, e devo ancora approfondire il perché. Viceversa sto leggendo tanto: Lorenzo e il suo viaggio dentro Animal Crossing, Andrea che da bravo narratore e comunicatore quale è racconta la sua quarantena giorno dopo giorno. Volevo anche scrivere qualcosa in più sulla quarantena, ma dato che ne parlano tutti alla fine mi viene il magone perché io penso che sia fichissimo vivere questo profondo periodo di cambiamento e magari nel frattempo qualcuno dentro un letto d’ospedale sta tirando le cuoia.

Insomma, c’ho una crisi d’identità.

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