Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Il Macbook Pro 13 da oggi ha di nuovo una tastiera decente

Macbook Pro 13

Ci sono voluti anni e un po’ di esperimenti ma finalmente ci siamo: Apple ha finalmente aggiustato i suoi portatili (almeno i Macbook Pro), rimettendoci una tastiera che forse non farà perdere i milioni alla casa di Cupertino ma soprattutto consentirà a noi utenti di scrivere al meglio senza farci sentire come se stessimo digitando il PIN sul tastierino del bancomat.

È sempre stata la metafora migliore che per me descrive perfettamente come ci si sente a usare quello scempio che è la tastiera degli ultimi Macbook; tra la corsa bassa, il piattume e la larghezza eccessiva dei tasti io veramente non capisco come qualcuno abbia potuto dire che “hm, il feeling non è così male se ti ci abitui”. Forse gente che nella vita ha solo voglia di premere i tasti del videoregistratore?

Tornando a noi, finalmente si può tornare a spendere un puttanaio di soldi su queste macchine con un motivo in meno per sentirsi in colpa. Hooray!

"Come stai?"

Empty classroom

Penso sempre al blog, “adesso scrivo sto post e faccio il botto”, “adesso documento come ho fatto questa cosa complicatissima”, poi invece i motivi che mi spingono davvero alla scrittura sono altri. Come questo bellissimo post di Lorenzo.

E io come sto?

Io sto bene. Mi mancano un po’ le uscite con gli amici, andare in un ristorante, ma è una cosa che fatta un paio di volte sono talmente orso che posso tornare a scordarmela per un paio di mesi. Il mio carattere è decisamente affine non tanto al clima di terrore che ci impone la pandemia quanto allo stare chiusi in casa – non perché sia terapeutico, ma perché me la sto proprio godendo.

Parlando di lavoro, il mio team sta lavorando completamente da remoto da due mesi e a livello di output direi che non ci possiamo lamentare. Certo, più che lavoro remoto/distribuito questi somigliano a arresti domiciliari, e sicuramente qualche azienda proverà a marciarci per rifiutarsi in futuro di provare del vero remoto, senza in realtà alcuna ragione pratica alla base. Lascio a voi i commenti su questo modo di concepire il lavoro della conoscenza come se fossimo invece in catena di montaggio.

Nel tempo libero, prevalentemente durante il weekend, il mio prodottino sta prendendo forma. Una forma tipo mostro di Frankenstein, infatti ho chiesto al povero Francesco una mano lato prodotto per darmi una mano a definire un MVP degno di questo nome. Ancora non mi va di parlare delle feature, di “quello che fa”, perché sarebbe come pretendere da un feto che si laurei in medicina.

L’altro giorno ci siamo sparati una bella maratona di Frankenstein, tra il Frankenstein di Danny Boyle con Benedict Cumberbatch che potete guardare aggratise su Youtube, e Frankenstein Junior in versione integrale.

Riguardo il software e il blog (prodotto a parte), sto come al solito facendo molta più roba di quanta ne stia scrivendo purtroppo. Però giuro che metto tutto in un calderone che molto presto inizierò a smaltire, parlando di Elixir e Rust e JavaScript oltre che di come sta andando la quarantena (peraltro argomenti che trovo decisamente più appassionanti – ma questo è un problema che mi sto accorgendo di avere in questo periodo, il fatto che mi appassionano più le macchine che gli esseri umani).

Riguardo l’uscire o meno, non giudico chi lo farà a breve, penso che ci stia. Più che altro mi ritrovo molto in questo post di Brent Simmons che riporto per intero:

Some people are starting to act as if this whole thing is pretty much over. It has become more and more the norm to bend the rules, and there will be increased social pressure to go along.

I think this is important to note: you will feel bad, sometimes really bad, if you don’t go along.

But please remember that this is a sacrifice. Part of that sacrifice might be that you have to feel bad about not doing what your group is doing. But we have to do this to save lives.

Per la precisione, soprattutto nella parte iniziale: “Some people are starting to act as if this whole thing is pretty much over”. L’abbiamo capito tutti che non è “over” manco per il cosiddetto? Siamo tutti allineati?

Insomma, personalmente altro che Fase 2: io penso che sarò un hikikomori pure fino alla Fase 10. :-)))

Ovviamente sono consapevole che c’è chi non ne può più, caratteri diversi dal mio che soffrono – o individui che semplicemente per motivi economici devono uscire. A queste persone va il mio abbraccio più forte.

Ho deciso che questo messaggio mi piace, è molto meglio di qualsiasi “ce la faremo” e mi riporta alla mente il tema centrale di un videogioco che ho adorato e che ho giocato poco tempo fa, Death Stranding. Quindi lo ripropongo paro paro.

E tu come stai?

Una domenica di quarantena (ovvero un wrap up di quello che sto facendo, e alcuni consigli utili)

Una sorprendente domenica di quarantena, proprio così. Vorrei sempre scrivere di più, ma la verità è che non sono bravo coi titoli, e non mi va nemmeno di usare dei titoli precotti come numeri o altre cavolate del genere. Questa quarantena mi sta innescando un’inaspettata produttività su parecchi fronti, quando non mi assale la depressione nel vedere i miei coetanei così impattati da questa imminente depressione economica, noi che non abbiamo nemmeno fatto in tempo a riprenderci dallo scoppio della bolla dei mutui sub-prime.

Nonostante questo però sto facendo un sacco di cose! Mentre Agnese si diletta in cucina con risultati insperati, lei poi che mi si era presentata come una che “io non so fare quasi manco un uovo al tegamino”, io leggo codice, scrivo codice, leggo articoli, leggo libri, parlo con amici, gioco a Call of Duty1.

  • Slack e Discord ormai sono la mia seconda casa. Se volete farvi una chiacchierata con dei programmatori con le palle ipercubiche potete unirvi allo Slack di RomaJS, o allo Slack internazionale di functional programming, che è pieno di geni e spunti assurdi; basta che vi ricordiate di fare join del canale #italy! Su Discord nel frattempo l’associazione culturale Lokendil ha il suo server molto ben organizzato dove ci sono vari tavoli e almeno una partita per sera :-) ma il divertimento vero è solo sul server di Alberto che è ancora marchiato come “lavori in corso” e dove mi trovate in maniera quasi permanente.
  • Sto leggendo, ancora, il Ciclo di Death Gate.
  • Sto scrivendo un mio prodotto. È un’idea che ho avuto a 22 anni, e niente di meglio di una quarantena e di un’imminente crisi economica per renderla reale e aspettare di poterla validare al primo momento propizio.
  • Leggo di Andrea, e dei suoi post sulla serie più seguita della storia dopo Lost, X-Files e Belfagor: il Presidente Conte e le sue live su Facebook.
  • Leggo di Brent Simmons, che ha perso il lavoro, ed è così competente nonché fortunato da avere già molteplici piani B, C, D da valutare.
  • C is not how the computer works.
  • Sto continuando a lavorare alla suite di test di integrazione di Apache CouchDB, di cui sono diventato committer, ma questo è qualcosa che vorrei trattare in un post a parte.
  • I giocatori della mia campagna di Dungeons & Dragons, accidentalmente miei colleghi “nella vita reale”, continuano a fare a botte ogni settimana (circa) con i peggiori orrori del Monster Manual.
  • Sempre per i consigli di lettura sparsi e non richiesti: Tech Debt and the Pragmatic Middle Ground.

Tutto sommato poteva andarmi peggio. È una bella quarantena.

  1. “Call of Duty non mi avrà mai” è stato uno dei motti videoludici sin dai primi vagiti della saga. Ragazzi, io i fissati degli sparatutto di guerra non li capisco, non c’è niente da fare, e come saga continua a farmi abbondantemente cacare. Tuttavia, questo Warzone, che è il battle royale2 di Call of Duty, è un po’ meno peggio degli altri e comunque giocato con gli amici ti fa fare due risate (insieme alle madonne di cui ho perso il conto, e credo abbiano perso il conto anche i miei vicini). Nella prima release di questo post, avevo lasciato questa footnote in sospeso. Grazie Julian! 

  2. Yay! Ho inserito la mia prima footnote dentro una footnote, come David Foster Wallace! Ma dicevo, anzi scrivevo: ormai le battle royale stanno ai giochi come le stories stanno ai social network. Tra un po’ avremo una modalità battle royale anche dentro Excel, dove devi fare fuori Clippy entro un tempo limite. 

COVID-19 tra remote working, routine abbandonate e crisi di identità

Avevo in mente da tanti giorni di scrivere qualcosa di strutturato riguardo al lavoro remoto, a questo COVID-19 che ci costringe dentro casa, ma la verità è che mi sento un po’ stanco e non riesco a scrivere per bene, il che è strano. Da una parte mi sento inibito, perché scrivere qualcosa tipo “come tirare fuori il meglio dal lavoro remoto” mi sembrerebbe irrispettoso verso le persone che per questa pandemia stanno male sul serio, dall’altra fatico davvero tanto ad aprire Facebook, a leggere notizie di attualità.

E devo ammettere che mi pesa rinunciare a una routine che si era venuta a stabilire negli anni con la mia bellissima scrivania in ufficio, un posticino che mi sono curato per tanto tempo e a cui adesso mi è così difficile pensare in ottica di abbandono. Strano che a dire questo sia proprio io, che come “cornerstone” della mia vita lavorativa ho:

  • Un approccio remote-first
  • Un mood generale non proprio di un animale da ufficio
  • Vent’anni alle spalle passati a una scrivania, in camera mia, a casa mia e dei miei, in un paesino fuori Roma

Essendo cintura nera di remote working per questi e altri motivi, volevo scrivere qualcosa appunto ma mi riesce difficile, e devo ancora approfondire il perché. Viceversa sto leggendo tanto: Lorenzo e il suo viaggio dentro Animal Crossing, Andrea che da bravo narratore e comunicatore quale è racconta la sua quarantena giorno dopo giorno. Volevo anche scrivere qualcosa in più sulla quarantena, ma dato che ne parlano tutti alla fine mi viene il magone perché io penso che sia fichissimo vivere questo profondo periodo di cambiamento e magari nel frattempo qualcuno dentro un letto d’ospedale sta tirando le cuoia.

Insomma, c’ho una crisi d’identità.

Final Fantasy VII Remake – ho giocato la demo e ho pianto come un vitello

Final Fantasy VII Remake

Non ricordo se avevo otto o nove anni, arrivò a scuola in uno zaino di qualche compagno, trafugato al fratello più grande, un numero di “Giochi per il mio Computer” che recava trucchi, soluzioni, ma soprattutto una stordente scena prima di copertina dedicata a Final Fantasy VII e a quello che di lì a poco sarebbe diventato uno degli idoli della mia infanzia, il glaciale Cloud Strife. Final Fantasy VII era appena uscito, ed era tutto un parlarne; anche quando a poca distanza la Square (la casa produttrice) per flettere i muscoli e far vedere di che pasta era fatta mise sul mercato Final Fantasy VIII – il successivo capitolo della saga con una grafica rinnovatissima – Final Fantasy VII faceva comunque ancora parlare di sé, e lo avrebbe fatto per decenni.

Mentre Final Fantasy VIII era per forza di cose più chiacchierato dalle persone della mia generazione per via soprattutto del fatto che era il primo Final Fantasy completamente in italiano, un po’ di bambini (inesperti) e ragazzi (decisamente più facilitati dall’età) avevano deciso di superare la barriera linguistica di un gioco così complesso completamente in inglese scoprendo un potenziale infinito, un sistema di combattimento clamoroso ma soprattutto una trama da far accapponare la pelle. Giocato e rigiocato, solo anni dopo mi sarebbe venuto il pallino di finirlo guardando qualche soluzione online (perché nel frattempo Internet aveva fatto il suo ingresso nelle nostre vite): il più grande ricordo che ho di Final Fantasy VII ad oggi è il gioco nel quale per anni e anni sono stato bloccato (tra gli enigmi e l’inglese era veramente tosta farsi strada), eppure nemmeno per un minuto ho ceduto alla frustrazione di stare fermo e non proseguire nella storia. È l’unico gioco che mi abbia mai cullato anche nel momento in cui non riuscivo ad andare avanti. E quando poi ho capito come girare intorno ai miei ostacoli, ho potuto finalmente finire quello che durante l’infinito margine temporale speso a combattere, livellare, evocare, correre e sostanzialmente mandare storto il piano del malvagio Sephirot, era diventato il mio gioco preferito di sempre.1

Non li ho giocati tutti, perché per me Final Fantasy VII sarebbe stato un fenomeno irripetibile: mi è piaciuto molto Final Fantasy VIII, ho amato Final Fantasy IX, ma non è mai stata la stessa cosa. Nel 2016 ho deciso di giocare Final Fantasy XV dopo un sacco che non ne giocavo uno (non ho giocato nemmeno il X, che tra i miei coetanei andò fortissimo), principalmente perché dopo un po’ di casino a fronte delle ultime uscite Square Enix aveva deciso di rinnovare completamente il sistema di combattimento della sua saga più blasonata: non rimasi deluso. Mi ha regalato ore indimenticabili, e tantissime sorprese a fronte di una trama davvero curata anche se con un protagonista un po’ deboluccio ma perfettamente innestato all’interno di un panorama generazionale dove gli stereotipi erano ormai cambiati e l’eroe “simil-macho” del passato non poteva funzionare più in alcun modo.

Oggi ho pianto. Quando ho iniziato a giocare la mia demo di Final Fantasy VII Remake ho detto ad Agnese che mi osservava sconvolta che non mi aspettavo di vivere abbastanza per vedere questo giorno. E lo credevo davvero: dopo dieci anni di trailer a mozzichi e bocconi, non credevo che veramente Square prima o poi avrebbe fatto uscire il nuovo Final Fantasy VII. La mia non è l’opinione di un esperto, e non pretendo che la prendiate come un distillato di sapienza; è il parere di un appassionato, e va visto sotto quella lente. Sappiatelo :-)

Action o RPG? Un po’ tutti e due, dai

La meccanica action mista RPG che aveva quel tocco di hack ‘n slash per alcuni è stata una mazzata quando c’è stato da approcciarsi a Final Fantasy XV; in questo caso è stata rivista ancora una volta, e ovviamente migliorata. La cura particolare che personalmente ho notato all’interno di questa demo è relativa al fatto che ogni personaggio ha le sue abilità e le sue peculiarità, addirittura Barret può sparare a cannoni di guardia a cui Cloud non può arrivare. Il game design è spaziale, e anche se solo con due personaggi (per il momento) si intuisce molto bene il potenziale gameplay con un party “completamente carico”. Nel bel mezzo della battaglia ogni personaggio può essere istruito tramite un menù durante la navigazione del quale il tempo arriva quasi a congelarsi, e che ci dà tutto quello che ci dava il precedente sistema di combattimento: Abilità, Oggetti, Magie, altro; ma non appena abbiamo fatto la nostra selezione tattica, veniamo catapultati nel bel mezzo dello scontro action dove lo spadone di Cloud la fa da padrone in maniera superfrenetica.

In sostanza, già nel capitolo “precedente” aveva dei nei e li ha mostrati tutti, ma questo sistema di combattimento personalmente mi ha impressionato e mi ha fatto godere della trama del primo capitolo, l’attentato al reattore Mako, esattamente nel modo in cui doveva: gli scontri sono ben posizionati e la frenesia tra uno scontro e l’altro tiene il ritmo della narrazione al cardiopalma, fino a farci scontrare col bossazzo, il Vigilante Scorpio che già vent’anni e spicci fa ci aveva fatto saltare sulla sedia. Solo che stavolta non ci sono i quadratoni, non ci sono i triangoloni, è tutto superbamente animato in 4K con una grafica che RAGAZZI.

Cloud sta saccagnando un antipaticone

Tutto è bagnato da una luce nuova

Una cosa su tutte mi sconvolge: nel mio totale candore di bambino, complice la grafica “retro” (che per il tempo era ‘na bomba! Ma purtroppo oggi come oggi fa veramente ridere) non avevo nemmeno capito che Jessie fosse una ragazza, e ovviamente altrettanto complice la barriera linguistica non avevo mai colto tutti i minidialoghi in cui lei ci prova spudoratamente con Cloud. La sequenza iniziale appare sotto tutta un’altra luce con questa nuova eccellente grafica, e per la prima volta non sono così pigro da pensare “che palle, me la dovrò pure rigiocare”.

Ho letteralmente pianto quando ho sentito il peso del pad in mano e ho visto il livello di dettaglio del treno che porta i nostri ecoterroristi dentro la centrale Shinra. Penso che siano state utilizzate le massime risorse disponibili nel nostro tempo esattamente come allora, per giungere al massimo risultato ottenibile esattamente come allora; e non c’è una parte di me che pensa che non sia valsa la pena di attendere e che i soldi della Square siano stati spesi male.

La sensazione è quella di un gioco nuovo, che si discosta dall’originale quanto basta per strizzare l’occhio a qualche cambiamento, ma che per il resto rimane fedele come il capo della servitù di una magione che si era lasciata da tempo e alla quale si ritorna: un leale passatempo che ti prende la mano e ti dice “sono sempre io, adesso ti faccio piangere un po’ di nostalgia” – e però la nostalgia non c’è perché in quel momento sei contemporaneamente l’adulto sul divano di casa sua e il bambino sul divano di casa dei suoi. E tutti e due, insieme, accompagnate Cloud nell’abisso del reattore Mako.

Sono più di tre mesi che non scrivo niente sul blog, le ragioni sono molteplici. Volevo tornare con qualcosa che sentissi davvero mio. Final Fantasy VII Remake è stata la migliore occasione per ricominciare a gettarmi su questo taccuino digitale.

  1. Io non so se quello che sto scrivendo si capisce: lo scrivo di getto, comprese le footnotes. E spero davvero si capisca quanto sono emozionato, ecco 

Member of

Previous Random Next