Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Di compleanni, blogging e social networking

Oggi è il compleanno del blog di Andrea. Andrea è uno fico, uno che seguo stabilmente e che seguo da un sacco di tempo. Ad aiutarmi a farlo, oltre il feed RSS, anche un bellissimo canale Telegram dove condivide post e sporadicamente qualche piccola riflessione. Andrea lo trovo fico (sì, ancora) perché non si arrende, e perché attraverso il suo approccio al web fa spesso riflettere anche me, che non ho smesso di tenere un blog in più di dieci anni, e che considero Grab The Blaster una tra le cose più importanti che ho attraverso le sue molteplici incarnazioni e le miriadi di stili di scrittura che contiene.

Non ci pensavo, ma questo angolo di web che continua a raccogliere le mie nerdesche memorie ha compiuto undici anni qualche mese fa. Oltre a stappare le bollicine, trovo molto vicino quello che ha scritto Andrea, soprattutto perché alcune volte mi sono divertito, durante questi anni, a guardarmi indietro e notare come il mio scrivere si sia modificato, insieme agli argomenti che trattavo. Dalle riflessioni di ordine personale, ai giochi per PlayStation, a Linux, al web, alla programmazione. Alla programmazione funzionale.

Ma soprattutto dal quindicenne che ero, con i punti esclamativi e le virgole messi in un certo modo, all’adulto che sono, con tutto quello che ne deriva. Guardare indietro su questo blog è come guardare un intimo album di foto che in fondo è la più fedele rappresentazione di me che esiste. E non esiste social che tenga, non esiste foto di copertina o foto del profilo che possa compensare quello che è capace di scrivere una persona, nel bene o nel male, ma soprattutto senza limitazioni dovute ai caratteri e alle logiche insite nella piattaforma.

Guardiamoci intorno. Avevamo una cosa meravigliosa, una piazza aperta e decentralizzata dove ognuno poteva essere il nuovo Martin Lutero e affiggere le sue novantacinque tesi1. Abbiamo finito per trasformare anche questo sogno in qualcosa di centralizzato, dove l’Occhio di Sauron può vedere tutto e se gli sfuggi sei tu che ci perdi in visibilità. Ma visibilità di cosa poi? Dei contenuti che lui, grazie a quello che noi scienziati chiamiamo “machine learning”, ovvero una sconfinata distesa di esempi di “questo va bene - questo va male”, vuole proporci.

È per questo che mi ritrovo particolarmente nelle parole di Andrea:

Per me è il ricordo di non abbandonare me stesso a luoghi altri dove il mio contenuto si perderebbe in rigagnoli fatti di algoritmi e logiche di business avulse ad esso.

Altrove, io mi perdo. Qui è uno dei pochi posti dove ritrovo me stesso, digitalmente e materialmente parlando. Ed è per questo motivo che non credo che abbandonerò mai il mio blog.

Ho cominciato a postare in maniera più consistente su Instagram. Lo trovo carino, mi permette di associare ad un’immagine in formato 1:1 (tipo Polaroid) un piccolo post-it con dei pensieri volatili. È però qualcosa che considero di seconda categoria, non perché non siano contenuti di qualità2, ma perché nel momento in cui tappo il pulsante “Pubblica”, quelle foto e quei pensieri vanno a finire sul server di qualcun altro. Qualcun altro che un giorno chiuderà baracca e burattini, e andrà tutto perso. Qualcun altro che nasconde ciò che penso e ciò che vedo per privilegiare post sponsorizzati di utenti con i follower spesso e volentieri comprati. Un regno dove le metriche, volentieri alterate, hanno la meglio sulla qualità. Un regno dove malvolentieri ti metti il cuore in pace sul fatto che se fai qualcosa di strabiliante non verrai notato da nessuno.

Certo, in realtà nemmeno il blog rappresenta più questo. Sono sicuramente finiti i tempi in cui se avevi un blog rischiavi di venire letto da milioni di persone. Sono ormai questi i tempi in cui pubblicherò questo post, poi lo condividerò su Facebook, e forse riceverò come è normale che sia più commenti lì che qui. Ma non mi disturba: l’importante è che il mio blog sia il fulcro di tutto questo. E che permanga.

  1. Questa viene dal mio tema di maturità, che era su Internet e i social network dato che in quel periodo andavano un sacco di moda. Nonostante fosse il mio pane quotidiano da allora, specie grazie a Linux, mi ricordo che scriverne la conclusione è stato come cavare il sangue dalle rape. 

  2. Instagram mi aiuta. Ci sono foto di workstation molto belle, panorami mozzafiato, note mentali lasciate lì dai più e tanta fotografia “da cellulare” molto bella. Purtroppo tutto questo è inabissato da una pletora di professionisti della finzione, ma ok, fa parte del gioco. 

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