Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Nerding The Newsroom

Ho iniziato da poco a guardare The Newsroom, la nuova serie di Sorkin tutta dedicata al mondo giornalistico dove un gruppo di sparuti membri della redazione del notiziario della sera prova a fare un telegiornale migliore.

Di solito sono un nerd di quelli molto attenti ai dettagli. In Tron Legacy ho più o meno riconosciuto tutti i comandi bash nei primi venti minuti di film – ovviamente ho anche apprezzato la filippica sull’open source digeribile anche per i meno abbietti. Quello che mi ha lasciato parecchio stupito è vedere come alcuni dettagli in The Newsroom siano curati in maniera impressionante. In che senso? Beh: prendiamo il personaggio di Neal. Ormai è diventato il mio preferito, nel giro di circa dieci minuti complessivi di apparizione su schermo.

Apprezzo molto l’amarcord informatico: ho visto qualcosa in questo episodio che mi ha fatto sorridere e venire (circa) una lacrima di orgoglio. Neal usa la vecchia versione di GMail per controllare la posta. È incredibile vedere come la sua figura sia inserita in un panorama totalmente geek fino al dettaglio – l’interfaccia di GMail è solo uno degli elementi, la passione per il TTS ne è un altro.

The Newsroom

Ovviamente anche il riferimento, sempre nel terzo episodio, meno nascosto del livello di dettaglio a cui sono abituato a cercare, ad HAL9000, beh… è stato più che apprezzato dal sottoscritto. Con queste premesse, credo che rimarrò un fedele spettatore di The Newsroom per molto tempo. Credo sia finito il tempo delle serie TV ridicole alla The Big Bang Theory: finalmente i nerd trovano il loro spazio in un ecosistema che, in forma di sit-com, viene rappresentato molto, molto meglio, a mio parere, da The IT Crowd.

Opinione personale, ovviamente. ;)

Let your workflow... flow.

In questi giorni, mi sono improvvisamente reso conto di quanto le cianfrusaglie abbiano preso il posto della mia scrivania. Per la verità è stato un passo piuttosto importante, dato che arrivando a considerare quelle cose che non mi decidevo a buttare come potenziale immondizia, ho potuto constatare quanto effettivamente inficiassero sulla mia libertà di pensiero.

Essendo io poi sensibile alla presenza di polvere, effettivamente, ho odiato un po’ la marmaglia di oggetti sparsi e accatastati sotto, sopra e attorno al mio povero monitor esterno. Avevo pensato, tempo fa, di comprare una scrivania più lunga, semplicemente per spostarmi in maniera più agevole sul tavolo; non è stato necessario.

Scrivania di Bl@ster

Dunque la mia considerazione riguardo ieri è: prima di comprare una scrivania più grande, pulisci quella di cui già disponi. Potresti accorgerti di aver sprecato un sacco di spazio fino a oggi, e non essertene minimamente reso conto.

Pur essendo io un cultore dell’ordine personale, ho capito che una scrivania pulita ti incita a fare e psicologicamente è più appagante, così ho deciso di liberare la scrivania dal dominio di Mordor degli oggetti inutili. Il caos riferito al mio cervello lo lascio (volentierissimo, beninteso) ai miei cassetti, che traboccano di “inspiring stuff” ogni volta che li apro: vedere oggetti di cui mi ero dimenticato persino che esistessero spesso su di me ha una funzione quasi ispirativa, infatti.

Ci tengo poi a ribadire che il terremoto di ieri non credo sia colpa mia, anche se a questo punto non credo metterò più a posto il divano su cui languono panni e gadget.

Fatevi un favore: più open source evangelist per tutti

Soprattutto negli ultimi tempi tra un libro e l'altro (questioni, robe di studio eccetera eccetera), ho cominciato a fare anche attività di diffusione rispetto al tema dell'open source, che ormai è disceso al centro della scena, soprattutto con la questione open data, che è ormai di importanza centrale nell'evoluzione delle infrastrutture statali e non.  "Open source evangelist", mi hanno definito alcuni; ho notato però che nel mondo enterprise figure come quelle di consulenti competenti che spieghino soprattutto ai colletti bianchi perché è utile avere un prodotto open source sul mercato e una community che cresce insieme ad esso.

Nixie Pixel Android

Mi succede sempre più spesso di entrare in contatto con delle realtà aziendali nuove e provare a "fare breccia" nei cuori di chi decide, provando a spiegare un po' come funziona l'ecosistema open source e perché starne all'interno anziché fuori può essere solo un plus, ma vengo sempre bloccato da moniti e parole inadatte, spesso derivanti da luoghi comuni, a volte veramente irritanti e, in qualche occasione, addirittura rinforzare da mala informazione.

Sicuramente sapete quanto sia dannoso il trovare una platea male informata, piuttosto che una non informata affatto: coloro che non sanno, infatti, ma sono in assenza di nozioni pregresse, sono "facili da plasmare"; non dovrete combattere contro un pregiudizio costruito con cura dal vostro cliente. Nel caso di interlocutori male informati, più o meno lo scenario che si presenta di solito è:

Ma si, noi però usiamo solo soluzioni closed source perché sono più stabili e più sicure, dato che il codice non si può vedere

Per chi volesse cominciare a fare l'open source evangelist: non saltate al collo di chi vi dice qualcosa del genere; al contrario aiutatelo a rendersi conto della castroneria che ha appena detto. Asciugandovi la bava dalla bocca, magari senza quel tic isterico di ciglia.

Per chi volesse essere evangelizzato: non siate supponenti, e non dite certe cose a chi prova a convincervi della bontà del modello che vi pubblicizza. Rischiate di fare una figuraccia e di vedere il vostro punto di vista ribaltato su tutta la linea.

Open source

Di solito, gli open source evangelist sono persone oneste che, prima o dopo, vi mettono anche in guardia dai rischi dell'avere un prodotto open (fatto da voi o mantenuto come pezzo dell'infrastruttura). Oltre che descrivervi i pregi dell'adozione di tale filosofia - oltre che modello economico di business), vi consiglieranno su come ridurre al minimo il "rinculo" e tutte le criticità dell'avere una comunità che lavora attorno al vostro prodotto. La paura verso i nuovi ecosistemi non porta a niente.

Prendetevi quindi cinque minuti per esaminare un po' di curriculum e un po' di blog, e valutate attentamente se vi serve un personale open source evangelist, per aiutarvi a rivedere la strategia aziendale; non è possibile che continuiate a fare la figura dei peracottari, quando vi presentate a qualsiasi evento che riguardi l'IT. Siate informati, rivolgetevi ad un open source evangelist.

Photo courtesy by Nixie and Br3nda

Verde di (i)NVIDIA

Stasera stavo giocando a Skyrim con il mio notebook, e tra una cosa e l'altra mi sono accorto della temperatura altissima a cui la mia GPU era arrivata. Immediatamente (ero su Windows) mi ha colto un momento di amarcord in cui mi sono rivenuti in mente un sacco di commenti da parte di utenti Linux riguardanti la temperatura delle loro macchine. Non è che sono snob, è che proprio non capisco i rantoli di certe persone, che aprono bocca e danno fiato: sotto Linux la mia GPU non ha mai raggiunto certe temperature, o se l'ha fatto è successo in caso di sforzi grandi.

nVidia

In generale la temperatura è sempre inferiore a Windows - anche in caso di giochi. Ovviamente Skyrim non è Minecraft o qualsiasi altro gioco (anche top) per Linux, tuttavia le chiamate alla scheda video sono pressoché le stesse e come calcoli per l'uno calcoli anche per l'altro. Non so.

Il pensiero repentino è che sicuramente questa GPU NVIDIA è stata un investimento proficuo al 100%, dato che oltre a farmi divertire parecchio con giochi e calcolo OpenCL, mi terrà anche al caldo per parecchi inverni. Basta giocarci un pochetto. :D

Ovviamente la battuta nel titolo è stata fatta milioni di volte, ma che ci devo fare: mi diverte.

Photo courtesy of George Armstrong

La Rete come layer sovrapposto alla vita

Oggi mi è successa la cosa più bella del mondo - almeno prendendo come esempio la gamma di cose che possono piacere ad un nerd come me. Stavo uscendo dalla metro A (Colli Albani, per la gioia degli stalker), e proprio sulle scale ho notato una ragazza appostata, con lo smartphone puntato verso di me, o meglio verso l'uscita. Stava catturando con la sua fotocamera i passanti; sono stato colto dal suo obiettivo, e mi sono prontamente girato a guardare, una volta superatala, cosa facesse: mi stava mettendo su Instagram.

Questo ha scatenato in me una reazione primaria e una riflessione secondaria. La reazione primaria è stata quella di chiederle di menzionare @dottorblaster al momento della messa online, così avrei ritrovato la foto in mezzo all'overflow di contenuti; purtroppo mi sono vergognato, quindi anche cercando in vari hashtag non ho trovato una beata mazza. La riflessione secondaria invece è stata più profonda (ovviamente :D), e cioè che la rivoluzione della rete, almeno per early adopter et similia, può dirsi compiuta, perché grazie a smartphone e social media così pervasivi ogni istante che viviamo può essere messo online in vari modi - e spesso il talento di un vero blogger o un comunicatore è proprio quello di saper scegliere il mezzo più adatto al momento.

Droid we are lookin' for

Tutto questo ovviamente si coniuga nel mio "menzionami su Instagram" ad una completa sconosciuta; non più il virtuale che estende i suoi tentacoli ad un mondo reale arretrato, ma finalmente una dimensione reale che compenetra i confini del nostro second self - e ci costringe a fondere le due cose. È vero per tutti? Beh, no: ci sono persone che scindono la loro presenza su alcuni social network dalla vita reale, tuttavia a volte fanno uno strappo alla regola.

E il futuro? Il futuro è fatto di strappi alla regola, per tutti. Il blasonato concetto del quarto d'ora di celebrità si espande e non risulta quasi più calzare alla perfezione.

Photo courtesy of Stéfan

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