Ieri, tra i fraseggi iniziali del mio liveblogging su Twitter del Google I/O 2012, ho esordito con un tweet: "Not just copycats". E probabilmente il punto di ciò che sto per esplicare è proprio questo. Ma cominciamo dall'inizio: Google, nella giornata di ieri, ha iniziato il Google I/O di quest'anno con l'ormai consueto keynote su Android. A prescindere dai numeri, si è passati subito all'azione: Android 4.1 "Jelly Bean", e la sua interfaccia totalmente rinnovata sotto il cofano. Mentre Hugo Barra e i suoi accoliti presentavano le novità che avevano introdotto, come Project Butter o Triple Buffering, mi sono sentito veramente ispirato, come sostenitore ed evangelist dell'open source: non ho visto infatti qualcosa di passivo, come un'azienda che mi inculca il suo modo di vedere il prodotto, l'oggetto, e mi forza ad usarlo in uno specifico modo. Ho visto invece come l'ottica open source di una grande compagnia (e attenzione, ho detto open source e non free software) possa trasparire soprattutto dai piccoli (?) gesti. Durante l'anteprima di Android 4.1 è stato spiegato come lo scheduler gestisce le chiamate al touchscreen, e come l'interfaccia venga bufferizzata relativamente ai gesti fatti dall'utente.
Google ha trasformato in un workshop anche la presentazione del suo prodotto di punta, Android 4.1, quando altre società avrebbero reso il pubblico semplicemente un branco di scimmie ammaestrate pronte ad applaudire solo guardando dei brillantini e delle scritte molto belle; in questo invece il colosso dei motori di ricerca, come lo chiamava mio padre, ha fatto scuola e ha tenuto banco: ha mostrato come si possa introdurre l'innovazione all'interno del proprio ecosistema e rendere la comunità felice.
Ed è proprio questo il fulcro: la comunità. Mentre ogni altro evento si espleta nella maniera in cui la casa produttrice ti propina il suo prodotto, e te lo fa testare e recensire, in un keynote di questo tipo tra il pubblico e l'ecosistema Android (del quale ci parla, con un lieve ritardo ma sempre in maniera gradevole, Lorenzo) lato azienda si crea un legame empatico che fa si che la platea non venga sottoposta al lavaggio del cervello, bensì venga detto, sopra le righe: "Ecco, questo è il risultato dei nostri sforzi, ma non solo; anche dei vostri, come comunità". È parecchio tempo infatti che Google, oltre che fornire un AOSP (Android Open Source Project - ossia il sorgente di Android) di qualità, integra anche miglioramenti provenienti dall'esterno; e se Android 4.0 oggi è quello che è, lo dobbiamo si a Google, ma soprattutto ad una sempre crescente comunità che raccogliendosi intorno a specifici spot come AOKP o CyanogenMod ha dimostrato di poter contribuire in maniera tangibile allo sviluppo del prodotto, contando tanto quando un OEM. E questo ce lo dice non solo Google, col suo comportamento, ma ce lo dice anche uno degli sviluppatori di CyanogenMod, in un'intervista di qualche tempo fa su queste pagine; ma soprattutto, ce lo dice il prodotto stesso, Android, che in queste ultime due release (specialmente per Android 4.0) ha integrato feature in maniera massiccia accettando consigli e patch non solo dai dipendenti pagati, ma anche da terzi, come CyanogenMod, come Linaro.
Questo Hugo Barra e Sergey Brin lo sanno, ed infatti, nonostante tutto lo speech su Android sia effettivamente un ringraziamento tacito alla community, uno strizzare l'occhio allo sviluppatore e al supporter, non perdono l'occasione ghiotta, e ringraziano coloro in sala, e coloro che guardano in streaming l'evento; tutta la community che si raccoglie non intorno a Google, ma attorno ad Android come prodotto, e ne è la vera forza, la potenza che lo ha aiutato quando ce n'era bisogno e continua a farlo facendo si che compenetri l'ambito casalingo e quello aziendale.
Non solo delle fotocopie quindi: come Apple aveva preso il menù delle notifiche di Android, trasformandolo ed adattandolo al proprio concept (vivaddìo), allora Google ha ripreso quegli stessi miglioramenti, facendo di meglio, innovando sempre di più. Anche i concetti risultano open source, visti da questa angolazione. E dunque risulta ridicola la guerra sui brevetti; l'importante è dare una forma a ciò che si prende, una forma propria, ciò che in molti chiamano brand identity. E quindi grazie Google, per avermi fatto vivere un'esperienza così bella come quella di sentirmi effettivamente parte di un panorama in continua, esponenziale crescita, dove le idee circolano rapide e senza essere fermate.
Mentre in questi giorni non so a chi dare i resti - e qui vi chiedo di essere miei fedelissimi in questa circostanza perché sto preparando un post fighissimo sulla percezione che hanno le imprese dell'open source, anche se il mondo si sta impegnando affinché io non possa mai finire ciò che ho iniziato, vi segnalo una cosa bellissima che ho trovato in giro per la rete mentre facevo il blogger di mestiere.
Avevate mai sentito parlare della licenza ☺? Questo "smile" a quanto pare, dà le facoltà di una licenza BSD, grossomodo, anche se il payback è notevole e mette in circolo karma positivo: bisogna essere gentili, sorridere, abbracciare, eccetera eccetera eccetera. Vi posto un estratto dalla licenza, disponibile alla pagina ufficiale:
By attaching this document to the given files (the “work”), you, the licensee, are hereby granted free usage in both personal and commerical environments, without any obligation of attribution or payment (monetary or otherwise). The licensee is free to use, copy, modify, publish, distribute, sublicence, and/or merchandise the work, subject to the licensee inflecting a positive message unto someone. This includes (but is not limited to): smiling, being nice, saying “thank you”, assisting other persons, or any similar actions percolating the given concept.
Tutto ciò è alquanto poetico. Chissà quanto effettivamente la licenza ☺ sia compatibile poi con GPL e BSD; magari un giorno prenderò uno dei miei fidi ed infallibili avvocati dell'open source come Ernesto e glielo chiederò, facendomi dare del pazzo due minuti dopo.
Sapete, non mi era mai successo di essere intervistato per le cose che faccio. Nonostante la copertura (aehm, modestia a parte) che ho ottenuto nei tempi passati per varie iniziative - soprattutto per il blog, in ogni caso - ho sempre vissuto il settore dei media dalla parte della stampa e mai dalla parte dell'ospite: è stato un onore essere ospite di Antonio Pavolini nella suggestiva cornice (per un nerd come me) del Codemotion 2012.
Mi ha messo a mio agio, e mi ha domandato con tranquillità ciò che voleva mettere in evidenza: devo dire che sono pronto a rifarlo :D
Bando agli scherzi, i temi variano un po': abbiamo iniziato con la situazione delle aziende e la loro conoscenza dell'ambito open source e di tutto il panorama del quale potrebbero essere messe a parte se solo venissero stimolate a piccole attività di questo tipo, dopodiché abbiamo parlato di Hopen, e di cosa bolle in pentola, come ad esempio le Maker Faire, da concetti ad applicazioni pratiche.
Il resto è tutto qua, nel video: ve lo propongo direttamente qui sotto. Scusate la pronuncia palesemente romana, ma era la mia prima intervista, ed ero un po' agitato. :P
Ormai è molto tempo che vivo stabile e felice sulla mia Arch Linux con installato KDE. Siccome però la voglia di smanettamento è sempre tanta, ho deciso che introdurre un pelino di entropia all'interno della mia solita (e ormai quasi noiosa) configurazione software sarebbe stato per certi versi quasi eccitante. Ho deciso quindi di dare una chance a LightDM, utilizzato già dalla "grande mela" Ubuntu con molto profitto: ne pensavo veramente bene.
Perché ne pensavo bene? Beh, perché mi piace la struttura di LightDM e trovo sacrosanto che la struttura "core" di un display manager possa considerarsi agnostica rispetto alle librerie grafiche utilizzate dal frontend, il greeter, che GTK+ o QT che sia, può contare sempre sulla medesima struttura di fondo.
Greeter definito a buildtime
Il titolo di questo paragrafo vi dice proprio ciò che mi ha fatto storcere il naso in prima battuta: da entusiasta che ero di LightDM, tale display manager ha ridotto notevolmente il mio piacere dello smanettamento quando ho visto che, definito default il greeter GTK+, per cambiare greeter ed utilizzare quello scritto in QT per KDE avrei dovuto modificare i parametri di compilazione. Magari un parametro del genere definito a tempo di compilazione può rendere il binario più prestante, tuttavia ho trovato fastidioso che non ci fosse un file di configurazione dove scrivere e modificare successivamente le mie impostazioni in maniera dinamica riguardo il greeter.
Questo significa che se io, oggi, da KDE decidessi di tornare a GNOME, dovrei ricompilare LightDM con il greeter GTK+. Dislike, decisamente.
Ma andiamo oltre.
LightDM consuma come un DC9
Mi rifaccio a una famosa frase di Giobbe Covatta in "Dio li fa e poi li accoppa": "Tengo una Volvo di sedici anni che consuma come un DC9" - il DC9 nella mia esperienza di qualche giorno fa è proprio LightDM, che pur nella sua nuova concezione di management non si limita a gestire il display in maniera trasparente, ma fa sentire la sua presenza. Dove? Ma sulla CPU, naturalmente.
Mi sono accorto infatti che mentre spostavo le finestre il mio laptop risultava leggermente scarso durante il dragging, presentando anche alcuni scatti. Ora, dato il duplice chip grafico in entrambi i casi rispettabile (il window manager lo faccio girare sulla Intel che è comunque una signora scheda, soprattutto sul 2D), ho pensato che ci fosse qualcosa di strano. Così, dopo ore impiegate ad imprecare contro la gestione del caching di KWin, ho visto aprendo htop che invece la colpa era di qualcun altro: LightDM, che non lasciava alla mia CPU nemmeno un secondo per godersi "il sonno dei giusti" (parafrasando un post di telperion in cui erano gli hard disk a stare sempre svegli e pimpanti).
Il carico del 6% costante sul processore - ed il 6% del mio i5 nuovo nuovo non è esattamente poco - ha fatto si che con un colpo di sed, equiparabile al colpo di spugna di chi, invece che con vim, lavora col Vim liquido, io tornassi al mio KDM che non tradisce.
Ed il processore adesso dorme il sonno dei giusti.
È un po' di tempo che mi ronza in testa questo pensierucolo, e ora che ho finalmente dato l'esame di Elettrotecnica 1 posso concedermi qualche riflessione in merito (per iscritto) senza sentirmi in colpa: Microsoft e Linux. Quanto tempo la comunità ha atteso questo momento? Veramente tanto, è innegabile; eppure sembra passare quasi inosservata la reazione di Microsoft alla crescita "spontanea" dell'ecosistema Linux che si è venuto a creare in questi pochi anni. Nonostante questo, è anche possibile notare che la stessa Microsoft non sbandiera molto le proprie innovazioni. Per avere un quadro della situazione più completo, ho raccolto le "fonti", ovvero le notizie che mi sono balzate all'occhio, soprattutto in queste due settimane in cui Microsoft ha destato la mia attenzione.
Il caso OpenSUSE e HyperV su Linux
È una storia vecchia, lo so. Mi sputerete in un occhio, eppure voglio menzionarla lo stesso: Microsoft ha scritto un "pezzo" (anche consistente) di kernel Linux, migliorando assieme a Novell il supporto ad HyperV del pinguino in ambito server. Voglia di semplice profitto? Può darsi. In ogni caso, è palese che pur guadagnandoci Microsoft, Linux ha avuto il suo tornaconto: 343 piccole modifiche che, in condizioni d'uso particolari, fanno la loro piccola (?) differenza. Notizia del Luglio scorso. Eppure non è finita qui.
Linux disponibile tramite Windows Azure
Conoscete Windows Azure? È l'infastruttura che offre Microsoft per il cloud computing. Pur non avendola provata di persona, ne ho sentito parlare abbastanza bene, esattamente come ho sentito parlare bene di Amazon EC2. Perché allora mi ha colpito Azure? Beh, perché dalla scorsa settimana ha cominciato ad offrire (cosa già pianificata qualche mese fa) appliance con Linux, in particolare OpenSUSE, Ubuntu e CentOS, ossia quelle distro tra le più certificate/certificabili - proprio, a quanto pare, per soddisfare una domanda sempre crescente. Si fa di tutto per acchiappare clienti, eh? Già: anche offrire qualcosa di diverso da Windows Server, in particolare un sistema operativo tuo diretto concorrente. Una mossa di vero fairplay imprenditoriale che credo porterà tantissimi guadagni in casa Microsoft, la quale sta puntando molto su Azure, e con queste premesse credo che avrà un ritorno di investimento posititivissimo.
Skype 4.0 per Linux
Come se non bastasse la diffusione, anche se solo tramite applicazione virtuale, di Linux su server, per unificare la user experience del suo nuovo giocattolino, ossia Skype, Microsoft ha scritto un aggiornamento - il primo major update da quando ha acquistato la società - del client per Linux. Nonostante la brutta interfaccia dei client per Windows e Mac OS X, Skype per Linux continua ad essere il mio preferito dato che pur aggiornando il core e prevedendo nuove icone, nuove emoticon, e nuove feature, l'interfaccia a pannelli flottanti non è stata modificata integrando solamente una finestra unica di conversazione (come accade già sugli altri OS); ora come ora quindi Skype per Linux è il client che più apprezzo, come è sempre stato, tra tutti quelli per tutte le piattaforme. E il fatto che Microsoft non si sia fatta pregare nemmeno poi troppo per questo aggiornamento, significa ai miei occhi che, nonostante la rivalità, anche se guardando i numeri poi Linux viene irrimediabilmente messo alle corde, il gigante cattivo dell'informatica degli ultimi vent'anni abbia cercato un'egoistica redenzione nei campi dove può ottenere un ritorno economico.
Non credo ci abbiano lavorato di recente, solo dopo l'annuncio della pubblicitá, anche perché hanno ridisegnato quasi tutto completamente e adesso Skype si integra perfettamente anche con Unity, prima non andava.
Tutta questa bontà in un solo update mi fa pensare che Microsoft abbia considerato la cosa seriamente e abbia deciso di offrire un buon software anche su una piattaforma ad alto livello di concorrenza. Possiamo quindi parlare di coopetition, anche se ovviamente le opere di Microsoft sono finalizzate esclusivamente al porting di prodotti propri e alla costrizione a fare questo dalle quote di mercato. Un po' l'uno un po' l'altro, infine, e direi anche a ragione: si sa che in fondo l'ecosistema Linux e quello open source, in un'ottica ancora più ampia, permettono ad ognuno di avere la sua parte.
In coda: ma quindi il Secure Boot?
Devo ancora farmi un'idea su Secure Boot: il fatto che le chiavi vengano gestite da Microsoft ma effettivamente inviate e retribuite a Verisign mi piace. In fondo è un sistema come un altro per la sicurezza; per piacermi ancora di più ci dovrebbero essere più società autorizzate al rilascio di chiavi univoche, come accade per i certificati SSL.