12 Dec 2012
Ebbene: adesso questo blog è basato su WordPress 3.5.
Era da tantissimo che non facevo un post così corto solo per brevi aggiornamenti tecnici; su HTML.it è uscito una settimana fa un articolo (bozza corretta dal sottoscritto) che illustra le novità di WordPress 3.5 nel dettaglio; la cosa più bella sembra essere la nuova media library, che finalmente è stata portata al "next level" dopo essere stata per un bel po' nel mirino degli sviluppatori, fino alle ultime release.

È Natale, quindi vi metto una zucca di Halloween a forma di W di WordPress. Non c'entra niente, ma era un secolo che desideravo infilare questa immagine in un post. Godetevi questo capolavoro di open source.
Photo courtesy of Eric M. Martin
07 Dec 2012
Sono disponibili le slide del mio talk al Linux Day 2012, dove mi sono un po' allargato rispetto al solito Linux, e ho parlato più diffusamente di imprese che vogliono fare open source, dando loro 5 parole chiave per iniziare a farlo davvero senza che poi rimangano in qualche modo scottate. Ho spaziato, per ogni punto, illustrando (poco) brevemente alcuni casi di studio di successo come Android, o Ubuntu, o Red Hat - ma anche progetti comunitari come GIMP e Nessus.
Per ognuno di questi ho evidenziato alcuni pregi, ma anche i difetti che potrebbero portare il contributore a scoraggiarsi, e venire meno per quanto riguarda la forza lavoro del progetto stesso.
I 5 punti sono, in sostanza:
- Un team dedicato - per raccogliere i feedback, gestire la comunità e coordinare il progetto, anche in maniera poco invasiva se necessario più spazio per la community;
- Git - oggi tante delle librerie che sono nate quasi per scherzo come progetti open senza Git non ci sarebbero. Utilizzare Git e conoscerne le meccaniche tecniche e psicologiche è utile ad un'azienda per racimolare contributi preziosi al proprio software. Fosse anche solo una pull request;
- Agile - per coordinare una comunità ampia è necessario un workflow definito ma che lasci libere le menti di partorire la loro idea. Con l'approccio agile si ottengono dei benefici in questi sensi;
- Community - perché senza comunità, e senza un elevato livello di attenzione verso questa, non puoi dire di essere veramente qualcuno che ha a cuore l'open source e la openness del proprio prodotto;
- Standard - seguire gli standard è un obbligo per chi fa open source: non è possibile che chiunque mette mano ad un software debba dover imparare notazioni nuove o astruse, o legacy.
Una volta seguite alla lettera queste 5 parole chiave, e avendo creato una situazione win-win per l'azienda e la community, il consiglio: don't fuck around, and kick asses through OSS. Imperativo categorico, direi.
06 Dec 2012
Da romanticone nostalgico quale sono, oggi avendo qualche minuto libero mi sono concesso una carrellata di screenshot non solo miei ricordando una serie di episodi, eventi, personaggi che hanno attorniato la mia vita di linuxiano, specialmente quando ero ancora nella fase di "nerd in crescita", dove le ragazze le guardavo col cannocchiale (e le vedevo anche piuttosto piccole anche lì, a dir la verità), ma dove col computer per certi versi smanettavo davvero.
Oggi ho smesso di compilare un sacco di roba da Git, ho smesso di recensire i rami di sviluppo delle applicazioni, ho smesso di fare un sacco di cose un po' per mancanza di interesse, dato che ormai viene tutto sviluppato in seno ai desktop environment (bene o male), un po' per voglia di stabilità e di cose che funzionano. Dato che, ovviamente, non ho mai creduto che per avere una "cosa che funziona" si debba necessariamente comprare un Mac: il fatto che sinora non abbia mai perso un secondo di produttività significa che ho insindacabilmente ragione.
Però restano i tempi: i tempi che furono, tempi in cui conoscevo gente e facevo cose, non consapevole come non lo erano nemmeno loro che ciascuno di noi poi sarebbe diventato un pezzettino dell'open source in salsa italiana nel mondo, chi per alcuni meriti, chi per altri. Particolare attenzione l'ho dedicata a questo screenshot.

Viene dal blog di Andrea Cimitan, al tempo conosciuto solo come Cimi, e dentro ci sono un po' di cose a cui sono affezionato, del panorama open source che è e di quello che fu:
- GNOME 2.x
- Compiz (quello vecchio)
- Clearlooks
- Arch Linux (col logo vecchio, vintage da paura)
Col tempo ci siamo dati tutti un po' un contegno, ma all'epoca eravamo (Andrea un po' meno) un gruppetto di nerdoni che stavano là, a parlare, a compiere hack. Immagino che anche il Cimi leggerà questo post, e sorriderà un pochetto. In fondo, quando tutto era meno "sicuro", ci si sentiva più una grande famiglia: adesso non è meglio, né peggio. I tempi sono cambiati.
Ma a volte, davanti al focolare, mi viene ancora voglia che i tempi siano quelli che furono, di avere del tempo libero da dedicare ai test più assurdi, e macchine a disposizione per riparare agli eventuali danni usando blasonati manuali e anche qualche intuizione. Bisogna guardare avanti, ma anche guardarsi alle spalle ogni tanto fa bene, oltre che far venire la lacrimuccia.
04 Dec 2012
Non credo di essere mai rimasto soddisfatto di un telefono, così come sono rimasto soddisfatto del Sony XPeria P, per un numero notevole di ragioni, essenzialmente a favore (in maniera mostruosa) dell'hardware che lo compone. Una serie di parti interne ottime, con in più a coprire il tutto una scocca in policarbonato da fare invidia anche al migliore degli iPhone, persino in quanto a design: le misure dei nuovi display di Apple infatti sono ripercorse precise da questo handset antesignano dell'iPhone 5, con al di sotto anche una "striscia" di vetro che, trasparente e con luci interne, provvede a tutto quello che è full touch nel dispositivo.

Tutto questo purtroppo ha due tipi di drawback: per prima cosa per riparare l'XPeria P serve un cacciavitino, dato che la scocca impone la chiusura "ermetica" e non a cerniera. Dal punto di vista del software invece il tutto risulta, per una serie di fighetterie tra cui la suddetta striscia di vetro con illuminazione interna, molto complicata da gestire. È ciò di cui mi sono accorto nel momento in cui ho provato a smanettare con il sistema operativo del telefono: installando versioni comunitarie di Android, non riuscivo ad ottenere gli stessi benefici della ROM ufficiale, se non meri miglioramenti prestazionali. Se la ROM di Sony infatti è un pianto continuo riguardo le prestazioni, anche se per fortuna non è eccessivamente bambinesca come look, purtroppo è anche l'unica che per ora funziona in maniera decente: installando un qualsiasi flavour di terze parti di Android ho assistito ad un decollo del telefono, come velocità, ma ad un comportamento assolutamente arbitrario dei led di notifica, delle luci inserite nel vetro, e dell'accensione del monitor sotto carica - che nel caso specifico provocava l'accensione di tutto il terminale.
Questo dipende semplicemente dal fatto che parecchie cose sono rilasciate, per questo terminale, senza alcuna specifica, quindi nessuno sa bene come vengano gestite alcune piccolezze. E quindi mi si accende lo schermo di notte. E quindi il led di notifica si accende quando vuole. E quindi battery drain. E quindi le luci all'interno della barra di vetro si comportano come delle renne irrequiete. Niente da fare, torno alla ROM Android di fabbrica. Ed è questa l'intenzione che mi ha portato a vivere un incubo di qualche ora: installando un'altra ROM devo aver sbagliato qualcosa (o forse no?) perché mi sono ritrovato con in mano un inutile pezzo di ferro. Esattamente: brick del telefono. Ho avuto la presenza di spirito di non lanciarlo dalla finestra, e ho capito che per fortuna era un soft-brick, ossia nulla di rotto ma molto di grave: dopo una rocambolesca esperienza al di fuori di qualsiasi manuale (e di qualsiasi forum di supporto) sono riuscito, ripristinando una vecchia immagine di sistema per far leggere almeno l'indispensabile a FlashTool, a ripristinare il telefono ad uno stato funzionante. Con un sospiro di sollievo, ho pensato a cosa i produttori potrebbero imparare dall'hacking.

Produttori, non rendete i vostri telefoni delle gabbie dorate. I nostri smartphone sono nostri: rendetecene libero l'uso e l'abuso. Evitate la fighetteria, oppure documentatela adeguatamente perché la community possa costruirci dei buoni hack sopra. Mi viene, per esempio, in mente il caso di BLN: un simpatico hack per supplire alla mancanza di led di notifica del Nexus S; cari produttori, rendete i vostri terminali semplici, senza la necessità di dover leggere dei manuali anche solo per sbloccarne il bootloader - o peggio, per installare un binario e basta.
Fatelo, e vi assicurerete quello per cui Google e Samsung vi stanno soffiando tutta la clientela: dei terminali su cui le persone possono mettere facilmente le mani, e una comunità che lavora attivamente sui vostri prodotti. Ormai lo sapete, i mercati sono conversazioni, e se è vero che sulla corta paga il marketing del device, sulla lunga distanza a pagare è il marketing della community di supporto. Perciò non fateci brancolare nel buio. E datemi 'sta documentazione delle lucette che stanno nel mio XPeria P. :D
Photos courtesy by harald walker - 1 & 2
16 Nov 2012
Quest'oggi, dopo aver sbrigato un po' di cose mi sono concesso un po' di tempo per aprire Popcorn Maker e cominciare a utilizzarlo, da zero, non sapendo minimamente nulla. Per chi non sapesse cos'è, lo dico in breve: è un video editor completamente HTML5, rilasciato da Mozilla sotto licenza open source, che consente di fare un numero di cose abbastanza alto e che, tra queste, incorpora una serie di funzionalità per mostrare secondo la modalità che noi decidiamo contenuti provenienti dai social media.
Sono rimasto sbalordito dalla qualità di quello che ne può venire fuori se si ha un po' di gusto estetico, ed effettivamente la cosa che più ha stuzzicato il sottoscritto (dato che mi occupo di editoria anche per lavoro) è stato il poter cominciare a curare contenuti ad un nuovo livello: quello del video making. Possiamo infatti combinare vari spezzoni di video provenienti da YouTube, intervallarli con schermate tutte nostre magari abbellite dall'immancabile strumento di testo, e includere nei video, magari in un sottopancia, dei tweet di alcuni utenti o degli hashtag specifici per mostrare magari informazioni contestuali.

Inoltre, oltre il classico YouTube, è possibile importare anche altre "scatole" come semplici video HTML5 (WebM o H264, immagino), ed anche da altre sorgenti. Google Maps, inoltre, consente l'embed in popup e altre forme per georeferenziare il contenuto in maniera abbastanza innovativa. Un poutpourri di cose interessanti insomma, che fanno di Popcorn Maker il primo video editor orientato alla content curation e completamente open source - nonché con un'interfaccia molto carina, cosa di cui ad esempio nel mondo Linux si sente (ultimamente meno) la mancanza.
A cosa penso quando dico "content curation"? Penso a Storify: per raccontare una storia, essere sul pezzo, porsi narratori in prima persona anche di qualcosa di grande, Popcorn Maker può essere un grande aiuto che sicuramente non va a rubare mercato al grande "aggregatore di pensieri sociali" che è Storify anzi: casomai può esserne un degno complemento, dove non importa più il contenuto singolo in sé, ma il mashup che più fonti possono creare.
Beh: il resto potete anche scoprirlo da soli.
Vi lascio solo un paio di note supplementari; se siete smanettoni come il sottoscritto e vi piace l'open source in tutte le sue sfaccettature, potete curiosare sul repository Git di Popcorn.js, la libreria su cui si basa il progetto, segnalare problemi e - magari - mandare anche qualche contributo. La seconda nota, è che da metallaro quale sono, mi fa molto piacere che attraverso Popcorn ci sia stato chi ha fatto storytelling alla Hellfest. Molto, molto bene. Brava Mozilla: questo è un notevole impegno e un grosso contributo, per il web, per l'ecosistema HTML5, per l'open source, e per i curatori di contenuti che da oggi hanno una preziosa freccia in più al loro arco.