08 Jul 2013
Senza alcuna vena polemica: iOS sta rincorrendo Android, tenendosi al passo con alcune caratteristiche estetiche ormai imprescindibili, e anche con parecchie feature a livello di sistema. Stamattina infatti abbiamo visto come iOS stia raggiungendo i livelli di Android anche per quanto riguarda la dettatura vocale offline. Quello che appare abbastanza chiaro è come in passato Apple abbia combattuto in termini legali questo tipo di innovazione, mentre adesso si sia posta in un'ottica molto più amichevole, cioè nella scia del principale competitor, integrando quello che manca e rafforzando la caratterizzazione del prodotto.

Ne avevo già parlato tempo fa, in occasione dello scorso Google I/O: la capacità di Google di caratterizzare feature ed integrarle in maniera così buona era un punto vincente della strategia open di Android, rendendo di fatto l'asset principale di Google proprio questo processo software così identitario e ben distinguibile. Apple ha cominciato a fare la stessa cosa da qualche tempo, e non vedo assolutamente motivi per essere contrariato: rispondendo a questa logica, rifiutando l'approccio "legacy", old-style, delle vie legali per difendere brevetti che dovrebbero tutelare delle proprietà intellettuali così assolutamente ridicole da essere di fatto di pubblico dominio, la stessa Apple si affianca ad un processo non open in senso stretto, ma sicuramente molto più coopetitivo nei confronti della concorrenza.
Quello che emerge, quindi, è una situazione win-win per l'utente finale, che ha solo l'imbarazzo della scelta all'interno di un panorama lanciato in una corsa disperata all'innovazione, dove le prestazioni aumentano e le caratteristiche anche, di pari grado. Questo è interessante perché, nonostante un approccio del genere sia parecchio perfettibile, quello che ne esce vincente è il consumatore.
Open (non strettamente "source", né "innovation") significa anche saper sorridere a certe cose, e mettersi sotto per cercare di migliorarsi invece che tentare di difendere il vecchio e stantio in un'aula di tribunale. Certo, c'è sempre l'NSA di mezzo in qualsiasi cosa facciamo, ma almeno sulle feature siamo quelli che vincono. E questa mi sembra un'ottima cosa, no? ;)
03 Jul 2013
Tutti sanno quanto io ami Google Chrome. Non c'è storia: la sincronizzazione dei preferiti e di tutti i miei dati attraverso ogni mio dispositivo lo rende un browser perfetto per le mie esigenze, sia sulla scrivania che in mobilità. Eppure Jacopo Romei, che ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere qualche settimana fa, a colloquio con Silvio ha detto una cosa bellissima:
Io temo i cosiddetti feedback positivi, quelli per cui l’effetto rafforza la causa. Se a un certo punto tutti navighiamo con Chrome e i siti web registrano questo, allora gli sviluppatori ottimizzeranno i siti quasi esclusivamente per Chrome e questo ci porterà ad avere un nuovo Internet Explorer, un monopolista del mercato che bloccherà l’innovazione.

È un po' con questo spirito che tengo installati entrambi i browser sulle mie macchine. C'è da dire però che negli ultimi anni il mio uso di Firefox è calato drasticamente: in pratica, lo uso solo per testare le webapp che sviluppo ogni tanto, qualche tema WordPress (tipo quelli che vedete sul mio GitHub), niente di più.
Dovremmo usare Firefox. Dovrei. E dovreste, anche voi.
Photo courtesy of Tambako The Jaguar
12 Jun 2013
Stasera aspettando che un amico si unisse alla sessione di D&D giocata su Google Hangout, ho letto un interessantissimo post di Merlinox sulla forza di Twitter e, beh, un po' di collaterali che fanno pensare.
Melius deficere quam abundare, dice Merlinox, che però in sintesi vede Twitter abbandonarsi alla vipperia e ad alcune cose che importate da altri modelli stanno secondo lui rovinando il modello di networking su cui si basa la piattaforma. Il post è vecchio, banalmente: è del 2011, riportato su da lui stesso come caveat per l'introduzione da parte di Facebook degli hashtag, ma mi offre uno spunto di riflessione mica male.
È vero infatti che il principio KISS sta alla base di Twitter e del suo successo, ma dal 2011 sono cambiate un paio di cosette che rendono addirittura quel KISS insufficiente. Da un paragrafo stesso di Merlinox infatti, riporto alla lettera:
Una deficienza sopperita dalla sua nativa propensione all’apertura: sono migliaia i servizi che si basano sul login di Twitter, e successiva divulgazione, per offrire dalla chat a messaggi estesi, allo stream, alle foto. API semplici che consentono agli sviluppatori di integrare i loro sistemi in poche righe di programmazione. Un successo: tecnologicamente e geekamente un successo.

Era così nel 2011. Adesso purtroppo le cose sono cambiate in molto peggio: Twitter ha creato una nuova API, limitando le possibilità agli sviluppatori (paganti e non, gestendo il proprio business sostanzialmente in maniera sbagliata: non ho mai sopportato i token ristretti), e pur rimanendo un fornitore di codice e toolkit non indifferente adesso ostacola sviluppatori che creano valore rispetto a contenuti prodotti da utenti che possono restituire "ROI" in un certo senso sia a Twitter che ad altri - un esempio su tutti, il caso di Tweetbot per Mac, client stupendo tagliato fuori per banali token terminati.
Il succo del discorso quale è? È che ci troviamo palesemente davanti al fallimento del melius deficere perché quello di cui parla Merlinox non c'è più. La compensazione naturale tra codice, API, e semplicità delle stesse, dell'interfaccia e del contenuto, è venuta a mancare, col tempo, e alcuni sentono questa mancanza come opprimente.
Ha senso quindi adottare una metodologia di sviluppo di un servizio del genere, in stile less is more, come unico criterio? Oppure dobbiamo farci il nostro diagrammino, e sviluppare qualcosa (anche un chipset, non crediate) e bilanciare la mancanza di qualcosa con l'abbondanza di qualcos'altro? È meglio quindi deficere in qualcosa, ma deficere bene, deficere per una scelta, e fornire dei pro perché quella scelta non rappresenti necessariamente un contro.
Ed è proprio per questo che a marzo parlavo di nuove backbone, paragonando Google+ e altre soluzioni come App.net, che da questo punto di vista mi piace parecchio.
Photo courtesy of Coletivo Mambembe
11 Jun 2013
Ieri sera è stato presentato iOS 7. Tantissime le reazioni, tantissimi i botta e risposta su Internet riguardo il nuovo design e, soprattutto (quasi), le nuove feature. Eh già, perché Apple se con il nuovo design ha fatto finta di tornare a fare qualcosa di nuovo - copiando e remixando fattori già noti, ma facendolo sicuramente in maniera caratterizzante, e facendoci anche una pessima figura con gli utenti - in quanto a feature non s'è certo sprecata a reinventare la ruota.

Il che non mi spiacerà, finché queste cose non verranno spacciate per innovazioni incredibili, esattamente come è stato tentato di fare sul palco ieri sera con una battuta tristissima: "Can't innovate anymore my ass" ha detto Phil Schiller, e per fortuna si riferiva al Mac Pro più che ad iOS. Mi è piaciuto, riassumendo, iOS 7 spiegato al mio cane, che ha fatto una summa di tutto quello che pensavo anch'io (lasciando fuori WebOS), e scrivendolo in tono molto ironico.
I pulsantini toggle per attivare al volo Wifi, Bluetooth, volume e musica, Google e altri cellulari li hanno da 5 anni. Non è esattamente quella che si può sbandierare come una nuova feature. Il multitasking che sfoglia le app aperte con l’anteprima ce l’hanno già tutti da una vita. Le mail che le scorri per cancellarle o archiviarle le ha già fatte Mailbox, lo scambio di files tra due dispositivi si poteva fare dieci anni fa con i primi cellulari ad infrarossi e l’avete impedito soltanto voi ridicolmente. In sostanza: quasi nulla delle novità software di oggi sono innovazioni, quanto più “portarsi in pari in ritardo”.
Insomma, un buon lavoro interno nelle app, doveroso più che altro visto che introduce caratteristiche da anni chieste a gran voce da migliaia di utenti, ma con un impianto visivo un po’ acerbo e non adatto ad un pubblico trasversale. Troppo colorato per un uso serio, troppo simile e monotono con la dominanza di bianco per essere funzionale. Per me è un parziale no, con la curiosità di provarlo sul campo e capire se le (poche) nuove funzionalità varranno la candela di un futuro update. Jonathan Ive, forse è meglio torni a forgiare metalli preziosi in attesa di ricevere qualche feedback dagli utenti della prima ora.
Sicuramente impararemo a gettarci alle spalle anche questa piccola scivolata. Apple ridiverrà la grande azienda rivoluzionaria che nelle menti (e, purtroppo, solo in quelle) di tutti è sempre stata, e le vere innovazioni secondo il volgo proverranno sempre da iOS, OS X, e compagnia cantante. Poco importa se il tagging dei file è stato implementato anni fa in KDE e Nepomuk, poco importa se i controlli veloci e i widget li aveva già Android. iOS 7 cambia tutto per non cambiare nulla, esattamente come nel celebre scritto di Tomasi di Lampedusa.
Ma c'è qualcosa da dire a riguardo: noi non dimentichiamo. E se l'utente di OS X è pronto a sbandierare le nuove caratteristiche del suo sistema operativo, deve essere anche sempre pronto a ricordare che nel 90% dei casi c'è chi ne ha fruito prima di lui, e senza pagare un computer migliaia di dollari/euro/yen.
Photo courtesy of Nehuén Mingote Kisler
07 Jun 2013
Da quando è arrivato il mio computer nuovo (si, ho comprato un altro giocattolo, e si, vi scasserò quanto prima con una pedissequa descrizione) ho ricominciato ad imbattermi nei problemi più assurdi che riguardano tutte le piccolezze del setup di base di una bella workstation con Linux. In particolare una cosa di cui non mi ero mai accorto è sempre stata come sia un fastidio immane dover riconfigurare il tema dei cursori di sistema.
Ho dovuto farlo infatti, dato che KDE non gestisce molto bene le preferenze dell'utente sui cursori, per cui ogni tanto mostra il tema deciso da noi (me, te, il mio vicino), e ogni tanto invece prende e di sua totale iniziativa mostra il tema di sistema. La soluzione è quindi impostare il tema del cursore system-wide e quello dell'utente sullo stesso valore, in modo da non dare più occasione a KDE di rovinare la nostra user experience.

Dato che non mi andava di andare a rovistare in decine di file di configurazione alla ricerca di quello giusto (tantomeno di leggere il manuale) ho fatto una ricerchina su Google per questo bel bug e mi sono accorto che su Launchpad viene consigliata l'esecuzione di update-alternatives per questo tipo di task.
Ci basta dare quindi il comando:
sudo update-alternatives --config x-cursor-theme
Che provvederà a mostrarci un piacevole dialogo numerico a riga di comando dove potremo scegliere il cursore di default semplicemente digitando il numero ad esso associato.
Fine dei giochi. Semplice no? Magari se gli sviluppatori di KDE mi evitassero di sbroccare per queste piccolezze. Eh.
Photo courtesy of fonso