08 Aug 2013
Sapete chi è Jean-Baptiste Quéru? No? Dovreste. O almeno, se usate Android, e una ROM modificata o qualsiasi altro progetto sul vostro smartphone che assomigli anche solo lontanamente ad Android, a quest'uomo dovete molto. Si tratta infatti del maintainer dell'Android Open Source Project, che negli ultimi anni si è sbattuto tantissimo per farci avere delle release degne di questo nome dove tutto fosse a posto, non ci fossero errori bislacchi di compilazione, e la community potesse lavorare sul "suo" codice senza impazzire.
Oggi si è dimesso. E io lo capisco, e lo supporto.

La motivazione delle dimissioni del maintainer del progetto AOSP è spiegata molto bene in un suo post su Google+ dove dichiara ufficialmente:
There's no point being the maintainer of an Operating System that can't boot to the home screen on its flagship device for lack of GPU support, especially when I'm getting the blame for something that I don't have authority to fix myself and that I had anticipated and escalated more than 6 months ahead.
Ovviamente Jean-Baptiste si è dimesso per una ragione che da lungo tempo gli porta noie; questa è solo l'ultima goccia che fa traboccare un vaso pieno di soprusi, letteralmente, riservati agli hacker che operano su Android con piattaforma Qualcomm: se infatti nonostante la mancanza di specifiche Samsung si è dimostrata abbastanza comprensiva con gli hacker mandandogli device per i test e "aiutando" la community a suo modo, Qualcomm continua a fare muro dai tempi del Nexus One, device in cui abbiamo dovuto forzatamente smettere di credere per il motivo più semplice del mondo. Al momento dell'upgrade ad Android 4.0, Qualcomm si è rifiutata di rilasciare i suoi driver binari per la GPU Adreno 200 che c'era dentro, e tanti utenti CyanogenMod se lo sono brutalmente preso in quel posto.
Loro, e gli utenti di HTC Desire che era sostanzialmente il "cugino" col trackpad ottico del Nexus One.

Io sostengo Jean-Baptiste e il suo atto, per un semplice motivo: Google è cambiata molto in questi anni. Ha cambiato volto, ha cambiato pratiche, è diventata una società che guarda al fatturato e che non ha più paura di deludere i suoi fan e i suoi utenti, a volte anche passando sopra qualche loro diritto. Forse è stata sempre così? Forse. Di sicuro non lo dava molto a vedere.
Le dimissioni di Quéru sono le dimissioni di noi tutti, la perdita di fiducia in qualcosa che aveva iniziato in un verso e sta finendo nel verso opposto: è stato probabilmente il più grande community leader degli ultimi anni, tenendoci informati di tutto e lavorando per noi, e adesso getta all'aria tutto con aria mascolina e un "fuck this, I'm out". Personalmente, non servirà a niente ma quantomeno lo apprezzo: Google dovrebbe fare più attenzione a questo tipo di criticità, e dovrebbe quantomeno intimare ai produttori di rilasciare le specifiche dei propri blob proprietari in modo da poter ottenere quantomeno un'immagine di ripristino decente per l'hardware che io compro.

Spero che con questo atto Android non diventi meno open. Si, è inutile che commentiate con i soliti argomenti da bimbiminkia: il codice è lì, potete leggerlo e modificarlo, persino inviare le vostre modifiche a Google, quindi Android è open. Il problema è che fino a oggi potevate inviare le vostre modifiche a Jean-Baptiste, il quale faceva code review e vi faceva sapere in breve. Adesso, chissà?
A Jean-Baptiste Quéru va il mio grazie più profondo, il mio complimento più intimo per il lavoro svolto, e un in bocca al lupo grandissimo per il futuro.
Photos courtesy of Lai Ryanne, Johan Larsson, Felix Montino
05 Aug 2013
Il mio laptop è di là che sta ripristinando una USB con un'immagine di OS X Mountain Lion, la serata è fresca, e io sto rosicando. Sto genuinamente, sentitamente rosicando. Per quale motivo? Presto detto: sono appena finiti gli slot disponibili per un account Feedly Pro da 99$ "lifetime": questo significa che per uno degli strumenti che più mi servono nel mio lavoro dovrò pagare 5$ al mese (o accontentarmi della Free Version).
Avrei voluto investire nel futuro di Feedly, e se non mi fossero spariti da sotto gli occhi gli slot Pro lifetime a prezzo fisso l'avrei pagato più che volentieri: la sincronizzazione è di una qualità sublime quanto quella di Google Reader, e mi consente di mantenere aggiornato ogni mio dispositivo con lo stato della lettura delle mie sottoscrizioni RSS. Sono un malato di blogging, e per me un tool del genere è fondamentale.

Le feature di Feedly Pro sono le seguenti:
- Ricerca negli articoli
- Supporto ad HTTPS
- Connessione con Evernote Notebook
- Supporto dedicato
Direi che è un bel pacchetto per 99$, soprattutto ad avere un Evernote Notebook come Federico Moretti (e quanto ho rosicato, anche per quello, quando gli è arrivato :D); comunque, la ricerca negli articoli è qualcosa di cui ho fatto parecchio uso in passato e che col passare del tempo è stata sempre più presente nel mio workflow. La pagherei (e credo che la pagherò) volentieri.

HTTPS poi, è un colpo da mestri: con tutto lo scandalo PRISM dietro l'angolo, chi si cura della privacy vedrà in quel pallino un faro in tempesta. Notevole come mossa, considerando che ultimamente la privacy è diventata una questione scottante, e anche se non è garantito il comportamento dell'end point, quantomeno siamo sicuri sulla transazione di dati.
E poi, come scrivevo, c'è la questione dell'investire sul futuro della piattaforma: visto che quella aggratise ce l'hanno chiusa, meglio scucire qualche lira o rischiamo di veder Feedly fare la stessa fine, e in una maniera molto meno cerimoniosa e compianta.
Photos courtesy of Graham Smith, Javier Domìnguez Ferreiro
29 Jul 2013
Negli ultimi tempi mi è successa parecchia roba. Non tutta positiva, ma nemmeno tutta negativa, anzi: non ho la minima intenzione di dire quale è il mio datore di lavoro (anche perché se mi seguite sui social network lo sapete quasi sicuramente), per il semplice fatto che non è importante; ma è importante che io vi racconti come funzionano le cose qui, dato che imperversano in rete una serie di personaggi più o meno autorevoli che dicono che in Italia non si possa fare niente che non venga stoppato dai mille problemi che abbiamo.
La premessa, a questo punto, l'abbiamo fatta. Ora direi di partire. No?
Innanzi tutto, ci sono un sacco di tavoli, e sono anche di buona fattura. È una questione da non sottovalutare, perché è il piano d'appoggio a fare il lavoratore, oltre che la voglia di fare, quindi avere a disposizione questi piccoli gioiellini ci migliora (nel suo piccolo) la vita. Ovviamente quando parlo di tavoli e tavolini scherzo, ma il mobilio è importante, quasi quanto avere delle sedie comode (che infatti abbiamo). Andiamo oltre: la mattina entro, e sento già qualcuno che in corridoio sbraita qualcosa in inglese al telefono. Procedo, entro, mi siedo, saluto il ragazzo davanti a me che viene da San Francisco.

Mi alzo e vado a fare un giro nella stanza accanto: alcuni amici mi raccontano i progressi che hanno fatto con la loro applicazione che si butta a capofitto nel settore dei viaggi, mentre mi sento battere sulla spalla: "Oh, guarda che figata questo codice che ho scritto". Lavorare qui in mezzo è notevole. Sei a contatto con delle startup niente male, e ogni giorno passano a trovarti o semplicemente a fare un giro un sacco di personaggi più o meno "famosi", per così dire. Non ho parole per dire quanto mi sento stimolato, e quanto la mia produttività abbia subito un balzo in avanti da quando ho avuto la possibilità di stare qui, insieme alle startup, insieme a un sacco di amici, insieme a persone che professionalmente mi hanno cambiato da cima a fondo insegnandomi cose nuove, sia tecnicamente che umanamente.
Il lavoro è tanto ma si porta a termine, tra una partita a ping pong e un caffè. È così che stanco, poggiando la pallina vicino alla rete e tornando alla scrivania, rifletto: mi sento un po' in Silicon Valley. È un piccolo miracolo, un miracolo di quelli veri, di quelli fatti dalle persone con le loro forze.

Quale è il punto di tutto questo racconto? È abbastanza semplice: quando sento dire che l'Italia è un paese finito, ho gli elementi per constatare che non è vero, che stiamo cominciando a dare qualche spintarella a tutto quello che non funziona. C'è bisogno di arrendersi, quando qualcosa va male? Personalmente, ho sempre pensato che se qualcuno mi ostacola, io spingo più forte. E non mi sono mai dimenticato del fatto che siamo un paese di innovatori, esattamente come si è sentito dire Fabio qualche giorno fa, e che dobbiamo solo ricordarci come si fa.
Sono felice, qui. Sono felice, perché senza sforzo, senza nessuno che mi mettesse i bastoni tra le ruote ho trovato un ecosistema notevole dove mettere alla prova la mia passione e farla aumentare giorno dopo giorno: la piccola San Francisco al centro di Roma che come una nave in tempesta si rimette al suo nocchiere e naviga attraverso le avversità senza farsi abbattere.

È un'immagine, è tutta metafora, lo so. Ed è difficile, oltremodo difficile. Nell'ambito (parlo del mio, perché è quello che frequento) ci sono centinaia, migliaia di cervelli schiacciati da quello che vogliamo ribaltare; non è per niente piacevole trovarsi perennemente in una condizione da "uno su mille ce la fa". Ma trovo che nulla e nessuno possa permettersi di essere distruttivo nella situazione in cui siamo: non possiamo consentirci di sprecare alcuna delle nostre risorse (dal cervello ai muscoli al tempo) pensando di essere finiti. Possiamo solo vedere cosa non va e lottare perché venga cambiato, senza arrenderci, per far sì che il posto dove lavoro non rimanga l'unico dove si respira questa aria.
Tentiamo di combattere anche e soprattutto il collaterale: la mia felicità ha fine nel momento in cui devo lasciare questo edificio e mi ritrovo diretto a casa su un regionale scassatissimo, o quando il fisco del mio paese d'origine fa la sanguisuga su di me lasciandomi quello che a malapena mi basta per tirare avanti più qualcosa da "reinvestire" (attrezzatura da lavoro, qualche sfizio per non crollare psicologicamente, altro). Sono giovane, o forse siamo, dato che è un po' il mood di un ufficio intero. Crediamo che poco a poco anche questo possa essere modificato, per il bene nostro e della società in cui viviamo.
Dobbiamo lottare. È importante.
24 Jul 2013
Qualche settimana fa (e mea culpa per il ritardo nel postare) sono stato ospite di TIM per una serata in compagnia dello staff e di alcuni personaggi mitici (tipo Zamperini, per dire), con lo scopo di farci provare la nuova applicazione TIM Social e soprattutto farci fare un tour dimostrativo di wiMAN, il servizio di captive portal basato su Facebook Login di cui ho già parlando ospitando proprio qui un'intervista a Michele Di Mauro, per #opencore.
Potete vedere il mio faccione presente nel video riassuntivo delle due tappe (Roma e Milano):
[embed]http://www.youtube.com/watch?v=nrLsa_x7ebc[/embed]
Dopo questo ci siamo concessi ad aperitivi e cene fatte di immensa lussuria e ingordigia, prenotate con restOpolis, mentre mi sono fatto una bella chiacchierata con Massimo Ciuffreda, che mi ha illustrato la visione di progetto (quindi qualcosa che ha meno a che fare con l'ambito tecnico) di wiMAN. Devo dire che uso già wiMAN al lavoro e ne sono abbastanza soddisfatto, quindi non solo ho apprezzato in passato l'open source utilizzato dal progetto, ma effettivamente ho anche goduto a vedere che tutto funziona come dovrebbe e senza procedimenti astrusi, con un packaging notevole.

L'app di TIM Social invece l'ho vista poco, per il semplice motivo che non utilizzo TIM come operatore, ma mi è sembrata carina l'idea di integrare l'aspetto multimediale e l'aspetto social-life in un polpettone abbastanza digeribile dagli utenti, che spero la useranno. [È un messaggio subliminale: se siete clienti TIM, usatela!]
Conclusione? Niente conclusione: la cena era bòna, l'aperitivo pure, e mi sono fatto una serata a parlare di nerdate persino con Amarituda. Daje. :)
14 Jul 2013
Sommare la mia pigrizia alla mia smemoratezza fa sì che io abbia almeno cinque account Eventbrite di cui non ricordo più la password.
L'ho appena scritto su Facebook, ed è vero: un account per ogni indirizzo email minimamente controllato che possiedo. Questo perché mi scoccio a fare il recupero password, addirittura più che a mettermi lì per fare un nuovo account. È una cosa che non so spiegare, un fenomeno che avviene regolarmente da mesi e mesi, e che credo sia radicato in tutti gli individui che come me si scocciano fondamentalmente di ogni cosa entro trenta secondi (a parte giocare a Minecraft o qualche altro time-waster).

Perciò mi sono detto, chissà quanta gente c'è in giro che ha fatto un sacco di account di cui manco si ricorda più. Tipo, io Eventbrite me lo ricordo solo per newsletter (ne ricevo ovviamente X al mese, dove X è pari al numero di mailbox, e quindi account di cui sopra). Sono convinto oltremodo, che senza quelle newsletter sarei ancora lì a chiedermi come diavolo sia possibile che qualcuno abbia già preso il mio indirizzo email. Non arriverei nemmeno al fatto di capire che mi sono già registrato. E anche in caso lo capissi, sbufferei troppo per un reset della password.
Photo courtesy of Victor Bayon