19 Dec 2016

“Chi controlla il controllore?”
È una delle frasi più abusate della storia. Non la sopporto. Tuttavia è una domanda perfettamente rappresentativa di un certo tipo di problema che si presenta quando una minoranza viene messa a controllare quello che fa una certa maggioranza senza la possibilità che su questo organo ristretto venga esercitata una forma di controllo da vicino.
È il caso di mettere in luce queste criticità quando si parla del nuovo algoritmo di Facebook, che si prepone di smascherare le bufale su segnalazione, di fatto garantendo che gli utenti non siano “vittime di fake news”; questo è certamente un intento lodevole, dato che le notizie falsificate sono un morbo che appesta le nostre timeline sempre più spesso, financo arrivando a molestarci in privato con qualche conoscente che ingenuamente ci linka l’ultima geniale trovata di qualche webmaster burlone.
Abbracciando però anche le implicazioni più ampie di un metodo di selezione dei contenuti così potenzialmente aggressivo, quello che emerge è che se in un primo momento possiamo anche essere contenti, sicuramente questa piccola intelligenza artificiale può essere sfruttata anche come meccanismo di occultamento di verità.
Per riprendere la frase di un mio carissimo amico (grazie Stefano!):
Internet dovrebbe essere consapevolezza, non popolo bue 2.0
Ed è esattamente in questo che ci stiamo trasformando, in un popolo che accetta di essere direzionato senza guardare oltre il paraocchi.
Si perché se le notizie false anche fossero un virus e un problema, noi sicuramente abbiamo gli anticorpi per combatterlo, che sono la nostra cultura e il nostro sistema di istruzione, il quale dovrebbe metterci in condizione di avere una capacità di discernimento tale per cui istantaneamente noi riusciamo a bollare una fonte come inattendibile.
Il problema delle false notizie non deve risolverlo Facebook, ma devono risolverlo le scuole, i licei, e non voglio dire le università perché una volta arrivato all’università uno dovrebbe avere i propri mezzi per star dietro a un fenomeno simile. Abbiamo già delle istituzioni preposte a questo, e per chi ha studiato l’algoritmo ce l’ha già - in testa.
Un altro problema, poi, sarà sicuramente quello della categorizzazione delle mezze verità, ovvero di tutti quegli articoli che riportano un fatto in maniera faziosa, nascondendone una parte e mettendone in risalto un’altra così da distorcere la percezione dell’evento: chissà cosa farà, il famigerato algoritmo, in quel caso.
18 Dec 2016
Sono uscito da pochissimo dal cinema, e sto raccogliendo i pensieri su un film che non volevo vedere, ossia Rogue One, che ormai è sulla bocca di tutti. Perché non lo volevo vedere? Beh, siate sinceri: voi sareste andati a vedere un film del genere dopo che Episodio VII aveva mostrato il fianco alle più feroci critiche dei fan? Ok, a me Il Risveglio della Forza non è proprio dispiaciuto, ma senza dubbio l’hype che avevo in corpo ogni volta che sentivo il nome “Star Wars” è stato sostituito da un’accoglienza tiepida.

E questo Rogue One ha, un po’ alla Anakin Skywalker, riportato l’equilibrio nella Forza. Prima di tutto devo ringraziare Fabrizio e la sua recensione sincera, entusiasta, da vero fan. Poi devo ringraziare tutto lo staff che ha contribuito alla realizzazione di quello che considero anch’io il mio miracolo di Natale, nonché uno dei migliori episodi di Star Wars, se così lo possiamo chiamare.
Si, perché in realtà Rogue One non è che una “Star Wars story”, come dice il titolo, ovvero un racconto che anziché prendere in considerazione le solite tematiche e i soliti eventi (possiamo ben dirlo: a quante morti nere siamo?) analizza le cose con un piglio nuovo, da una prospettiva totalmente diversa, raccontando una storia che fa da punto d’appoggio a qualcosa di molto più ampio, ma che per come è raccontata non assume certo un’importanza minore, facendoci emozionare visibilmente, e riportando il nostro sentimento nei confronti della saga (nel suo complesso) su un ben più adatto “oh, adesso si fa sul serio”.
Sul finale ho pianto. E già penso a Episodio VIII, che probabilmente ci riporterà al livello che ora, dopo Rogue One, non esito a definire becero, di Episodio VII.
Da John Gruber ho preso questo interessante articolo, che mette in luce alcuni aspetti interessanti della questione sugli smartwatch che recentemente è stata portata alla ribalta (di nuovo) a causa del “disastro” Pebble.
Nello specifico, un passo che mi ha infastidito è stato questo:
There have been only three legitimate players in the smartwatch industry.
Combined, these three companies have represented 78 percent of smartwatch shipments over the past two years. Even more remarkable, no other company has come close to these three in terms of unit sales. Since the beginning of 2015, only seven companies have shipped more than 200,000 smartwatches in any given quarter. Out of those seven, one will soon be broken up in a fire sale (Pebble), another just announced it was getting out of smartwatches (Motorola), and two have shown little interest in releasing new smartwatches (Huawei and LG). This leaves Apple, Garmin, and Samsung.
Per carità, possiamo anche parlare di unità vendute, e fin qui siamo anche d’accordo sui player di rilievo del mercato. Quello che però a me personalmente rimane incomprensibile è come un numero così alto di persone possa aver mancato qualsiasi occasione di acquisto di un Pebble, dato il prezzo basso e soprattutto il numero di cose che permetteva di fare.
Per me, Pebble rimarrà sempre un miracolo incompiuto, e i prodotti di Pebble un eccezionale incompreso mix di eleganza e funzionalità.
14 Dec 2016
Ieri sera giocavo con i miei amichetti di roleplay a Dungeons & Dragons in una situazione un po’ complicata, in tethering da una connessione 3G al lumicino in un albergo a Cosenza.
Al momento di tirare un d20, trovandomi sprovvisto di dadi fisici, ed essendo il telefono in carica in un posto abbastanza lontano dalla mia portata, ho avuto il lampo di genio di scrivermene uno mio (non potendo nemmendo consumare banda per caricare un’interfaccia web) in una riga.
Inizialmente ho optato per una riga di Javascript avendo una console di NodeJS aperta:
> function roll(i) { return Math.floor(Math.random()*(i)) + 1 }
Chiaramente, è solo un generatore di numeri casuali compresi tra 1 e i che corrisponde alle facce del dado.
Siccome però la console Javascript per fare una cosa simile è un overkill, ho scritto un oneliner per Zsh:
$ roll() { print $[RANDOM % $1 + 1]; }
La stessa cosa si può fare in bash usando echo al posto di print. Volendo usarlo come utility per i prossimi casi di emergenza, l’ho anche infilato in un custom plugin per Oh My Zsh:
$ cat .oh-my-zsh/custom/plugins/dice-roller/dice-roller.plugin.zsh
roll() {
print $[RANDOM % $1 + 1];
}
$ roll 20
12
In questo modo abbiamo realizzato un pratico tiradadi da shell 😎 e niente, almeno non ho buttato banda né mi sono dovuto alzare dalla sedia comoda. Resterò ciccione per sempre. Evvai!
Il mio amico Claudio oggi ha condiviso questo interessantissimo post sull’uso di JIRA che viene fatto dalla maggior parte delle aziende che dicono di adeguarsi ed essere fan di metodologie agili mentre affettano un release plan in mini cicli di rilascio fatti in waterfall di due settimane.
Quando non c’è un dialogo adeguato tra management e team di sviluppo, è molto facile ritrovarsi in questa situazione:
I have long held that Atlassian’s ubiquitous JIRA bug-tracker / feature-planner serves a valuable purpose in the software biz: it gives project teams a common enemy to bond together against.
Viceversa, non penso che sia vero quanto segue:
Feature planning is about communication. JIRA is fundamentally a terrible way to communicate the requirements of a complex system. Words in a row, if written well, will always be better.
Utilizzare JIRA, oppure un qualsiasi altro sistema di ticketing, sia esso più “alla moda” come Taiga o più “legacy” come Redmine, è sempre una questione tecnologica. La questione relativa alla progettazione del software e al monitoring dei KPI invece mi sembra che possa essere ricondotta molto meglio alla sfera comunicativa.
Se ti senti stressato, se ti senti in qualche modo attaccato da un sistema di ticketing, forse dovresti alzare per un attimo gli occhi dal monitor e cercare un modo per eliminare il tuo capo facendo sparire le prove. 😁