18 Dec 2016
Sono uscito da pochissimo dal cinema, e sto raccogliendo i pensieri su un film che non volevo vedere, ossia Rogue One, che ormai è sulla bocca di tutti. Perché non lo volevo vedere? Beh, siate sinceri: voi sareste andati a vedere un film del genere dopo che Episodio VII aveva mostrato il fianco alle più feroci critiche dei fan? Ok, a me Il Risveglio della Forza non è proprio dispiaciuto, ma senza dubbio l’hype che avevo in corpo ogni volta che sentivo il nome “Star Wars” è stato sostituito da un’accoglienza tiepida.

E questo Rogue One ha, un po’ alla Anakin Skywalker, riportato l’equilibrio nella Forza. Prima di tutto devo ringraziare Fabrizio e la sua recensione sincera, entusiasta, da vero fan. Poi devo ringraziare tutto lo staff che ha contribuito alla realizzazione di quello che considero anch’io il mio miracolo di Natale, nonché uno dei migliori episodi di Star Wars, se così lo possiamo chiamare.
Si, perché in realtà Rogue One non è che una “Star Wars story”, come dice il titolo, ovvero un racconto che anziché prendere in considerazione le solite tematiche e i soliti eventi (possiamo ben dirlo: a quante morti nere siamo?) analizza le cose con un piglio nuovo, da una prospettiva totalmente diversa, raccontando una storia che fa da punto d’appoggio a qualcosa di molto più ampio, ma che per come è raccontata non assume certo un’importanza minore, facendoci emozionare visibilmente, e riportando il nostro sentimento nei confronti della saga (nel suo complesso) su un ben più adatto “oh, adesso si fa sul serio”.
Sul finale ho pianto. E già penso a Episodio VIII, che probabilmente ci riporterà al livello che ora, dopo Rogue One, non esito a definire becero, di Episodio VII.
Da John Gruber ho preso questo interessante articolo, che mette in luce alcuni aspetti interessanti della questione sugli smartwatch che recentemente è stata portata alla ribalta (di nuovo) a causa del “disastro” Pebble.
Nello specifico, un passo che mi ha infastidito è stato questo:
There have been only three legitimate players in the smartwatch industry.
Combined, these three companies have represented 78 percent of smartwatch shipments over the past two years. Even more remarkable, no other company has come close to these three in terms of unit sales. Since the beginning of 2015, only seven companies have shipped more than 200,000 smartwatches in any given quarter. Out of those seven, one will soon be broken up in a fire sale (Pebble), another just announced it was getting out of smartwatches (Motorola), and two have shown little interest in releasing new smartwatches (Huawei and LG). This leaves Apple, Garmin, and Samsung.
Per carità, possiamo anche parlare di unità vendute, e fin qui siamo anche d’accordo sui player di rilievo del mercato. Quello che però a me personalmente rimane incomprensibile è come un numero così alto di persone possa aver mancato qualsiasi occasione di acquisto di un Pebble, dato il prezzo basso e soprattutto il numero di cose che permetteva di fare.
Per me, Pebble rimarrà sempre un miracolo incompiuto, e i prodotti di Pebble un eccezionale incompreso mix di eleganza e funzionalità.
14 Dec 2016
Ieri sera giocavo con i miei amichetti di roleplay a Dungeons & Dragons in una situazione un po’ complicata, in tethering da una connessione 3G al lumicino in un albergo a Cosenza.
Al momento di tirare un d20, trovandomi sprovvisto di dadi fisici, ed essendo il telefono in carica in un posto abbastanza lontano dalla mia portata, ho avuto il lampo di genio di scrivermene uno mio (non potendo nemmendo consumare banda per caricare un’interfaccia web) in una riga.
Inizialmente ho optato per una riga di Javascript avendo una console di NodeJS aperta:
> function roll(i) { return Math.floor(Math.random()*(i)) + 1 }
Chiaramente, è solo un generatore di numeri casuali compresi tra 1 e i
che corrisponde alle facce del dado.
Siccome però la console Javascript per fare una cosa simile è un overkill, ho scritto un oneliner per Zsh:
$ roll() { print $[RANDOM % $1 + 1]; }
La stessa cosa si può fare in bash usando echo
al posto di print
. Volendo usarlo come utility per i prossimi casi di emergenza, l’ho anche infilato in un custom plugin per Oh My Zsh:
$ cat .oh-my-zsh/custom/plugins/dice-roller/dice-roller.plugin.zsh
roll() {
print $[RANDOM % $1 + 1];
}
$ roll 20
12
In questo modo abbiamo realizzato un pratico tiradadi da shell 😎 e niente, almeno non ho buttato banda né mi sono dovuto alzare dalla sedia comoda. Resterò ciccione per sempre. Evvai!
Il mio amico Claudio oggi ha condiviso questo interessantissimo post sull’uso di JIRA che viene fatto dalla maggior parte delle aziende che dicono di adeguarsi ed essere fan di metodologie agili mentre affettano un release plan in mini cicli di rilascio fatti in waterfall di due settimane.
Quando non c’è un dialogo adeguato tra management e team di sviluppo, è molto facile ritrovarsi in questa situazione:
I have long held that Atlassian’s ubiquitous JIRA bug-tracker / feature-planner serves a valuable purpose in the software biz: it gives project teams a common enemy to bond together against.
Viceversa, non penso che sia vero quanto segue:
Feature planning is about communication. JIRA is fundamentally a terrible way to communicate the requirements of a complex system. Words in a row, if written well, will always be better.
Utilizzare JIRA, oppure un qualsiasi altro sistema di ticketing, sia esso più “alla moda” come Taiga o più “legacy” come Redmine, è sempre una questione tecnologica. La questione relativa alla progettazione del software e al monitoring dei KPI invece mi sembra che possa essere ricondotta molto meglio alla sfera comunicativa.
Se ti senti stressato, se ti senti in qualche modo attaccato da un sistema di ticketing, forse dovresti alzare per un attimo gli occhi dal monitor e cercare un modo per eliminare il tuo capo facendo sparire le prove. 😁
10 Dec 2016
Ho pensato molto a cosa scrivere riguardo Pebble, e potrebbe sembrare che io stia facendo il melodrammatico. I fatti da prendere in considerazione riguardo questa impressione sono due:
- Sono (o ero, per meglio dire) in attesa del mio Pebble Time 2, e adesso non avrò il mio regalo di Natale;
- Pebble come azienda mi piaceva molto, veramente.

Prendo a prestito le parole di John Gruber:
Rough ending. I love the idea of a plucky startup creating their own hardware platform […]
Poco da aggiungere: secondo me Pebble è stata l’unica azienda, l’unico gruppo di persone in grado di proporre qualcosa di veramente innovativo ad un prezzo tutto sommato contenuto, usando una tecnologia totalmente inaspettata per uno scopo incredibilmente nuovo.
I prodotti Pebble non piacevano a tutti, e come azienda Pebble non ha mai avuto l’ardire di fare un prodotto che piacesse a tutti, ma semplicemente di offrire il suo meglio alla sua nicchia di mercato, che probabilmente non si è rivelata profittevole come da prime analisi. A me, però, quegli orologi piacevano un casino tant’è che ne ho ancora uno al polso, indeciso su cosa comprare come prossima fermata nel mondo delle “cose da polso”.
La fine del wearable da polso?
Jawbone alla canna del gas, Pebble in questo stato, e quella di Fitbit la possiamo considerare un’acquisizione d’emergenza nel tentativo di assorbire un fattore magico per dotare di appeal i suoi prodotti, che presso di me non arrivano proprio ad essere considerati. Ne parlavamo l’altra sera con Giorgio: siamo sicuri che sia proprio un bel momento per i wearable?
Sinceramente è stata una “rivoluzione”, e specifico le virgolette, in cui ho creduto molto ma che non ha prodotto moltissime cose buone. L’unica che mi ha veramente colpito è stata proprio Pebble.

E adesso?
Ho questa domanda in testa da parecchio, ed è per questo che sto scrivendo questo post. Adesso che si fa? Sicuramente inizierò ad osservare insistentemente Fitbit aspettando che tiri fuori qualcosa di interessante, e questi signori se hanno a cuore la reputazione del proprio brand, dovrebbero pensare anche a creare qualcosa che soddisfi gli acquirenti di Pebble, che nel tempo si sono mostrati una nicchia in grado di far sentire la propria voce.
Personalmente penso che se Pebble ha fallito così clamorosamente con un prodotto che io credevo in grado di vincere a mani basse, c’è il più che ragionevole dubbio non solo che Fitbit non produca qualcosa che mi interessa, ma che addirittura un prodotto di mio gusto non venga mai più fuori.
Che io debba rassegnarmi ad utilizzare il mio Pebble Time, finché dura. E che prima o poi debba tornare alle care, vecchie, brutte, ingombranti notifiche.
Photos courtesy of Howard Lawrence B, Tero Mononen