Anch’io come Lorenzo penso che sia molto importante saper trovare dei mentor lungo il proprio percorso, e anch’io come lui penso che sia decisamente più importante, se possibile, imparare a riconoscere cosa non ci piacere di noi e degli altri per evitare di riproporlo.
A volte la ricerca del miglioramento passa non solo dal copiare i maestri, ma anche dall’individuare problemi e comportamenti errati e starne lontani.
(E con questo do anche il bentornato a Lorenzo sul suo blog su UGIdotNET 😁)
Rust mi sembra un progetto interessante, tra tutti i linguaggi uno di quelli francamente fascinosi dal punto di vista “hipster” (keyword and co.), e dal punto di vista delle prestazioni. Oltretutto sulla carta sembra non voler esattamente prendere il posto di Go, anche se sicuramente in alcuni ambiti compete molto con il linguaggio di Google.
Questo piccolo racconto di Karol Kuczmarski però (nonostante l’autore cerchi di farla passare come una figata) mi scoraggia un pochettino: esattamente come Python 2 VS Python 3 nella stragrande maggioranza della distribuzione software (e dicotomie similari), il channel Nightly di Rust è decisamente diverso dalla sua controparte stabile, e addirittura parecchi framework ne richiedono l’utilizzo esclusivo.
In fact, nightly Rust is essentially its own language.
Nemmeno arrivato ad un grado di maturità stabile, Rust già soffre di queste problematiche. Il fatto che alcuni switch non possano essere stabilizzati di per sé, di fatto a mio modo di vedere si trasforma in una falla di design.
Un punto di vista interessante riguardo gli array in C.
Sorry, dear reader*, but I cannot participate in this conspiracy any longer. You have been lied to, manipulated and coerced into thinking arrays are a construct of the C language. I feel it is my solemn duty to blow the whistle on this charade and expose the dirty secrets of C’s so-called arrays.
In ogni caso, niente che una persona che ha studiato Sistemi Operativi con Marco Cesati non sappia già troppo bene. 😎
Mentre noi cominciamo a scartare i pandori, i panettoni, a ingozzarci per le feste, c’è chi non si ferma un attimo - come il buon Mark Zuckerberg che con un post sul suo profilo ci mostra a che livello di automazione è arrivato riguardo la sua AI “casalinga”.
Due cose:
- Mark Zuckerberg è pazzo;
- Anch’io nella vita voglio solo grattarmi e programmare “cagate”* a questo modo.
*: Posto che siano veramente cagate; in realtà il contenuto del post è veramente, veramente interessante.
19 Dec 2016

“Chi controlla il controllore?”
È una delle frasi più abusate della storia. Non la sopporto. Tuttavia è una domanda perfettamente rappresentativa di un certo tipo di problema che si presenta quando una minoranza viene messa a controllare quello che fa una certa maggioranza senza la possibilità che su questo organo ristretto venga esercitata una forma di controllo da vicino.
È il caso di mettere in luce queste criticità quando si parla del nuovo algoritmo di Facebook, che si prepone di smascherare le bufale su segnalazione, di fatto garantendo che gli utenti non siano “vittime di fake news”; questo è certamente un intento lodevole, dato che le notizie falsificate sono un morbo che appesta le nostre timeline sempre più spesso, financo arrivando a molestarci in privato con qualche conoscente che ingenuamente ci linka l’ultima geniale trovata di qualche webmaster burlone.
Abbracciando però anche le implicazioni più ampie di un metodo di selezione dei contenuti così potenzialmente aggressivo, quello che emerge è che se in un primo momento possiamo anche essere contenti, sicuramente questa piccola intelligenza artificiale può essere sfruttata anche come meccanismo di occultamento di verità.
Per riprendere la frase di un mio carissimo amico (grazie Stefano!):
Internet dovrebbe essere consapevolezza, non popolo bue 2.0
Ed è esattamente in questo che ci stiamo trasformando, in un popolo che accetta di essere direzionato senza guardare oltre il paraocchi.
Si perché se le notizie false anche fossero un virus e un problema, noi sicuramente abbiamo gli anticorpi per combatterlo, che sono la nostra cultura e il nostro sistema di istruzione, il quale dovrebbe metterci in condizione di avere una capacità di discernimento tale per cui istantaneamente noi riusciamo a bollare una fonte come inattendibile.
Il problema delle false notizie non deve risolverlo Facebook, ma devono risolverlo le scuole, i licei, e non voglio dire le università perché una volta arrivato all’università uno dovrebbe avere i propri mezzi per star dietro a un fenomeno simile. Abbiamo già delle istituzioni preposte a questo, e per chi ha studiato l’algoritmo ce l’ha già - in testa.
Un altro problema, poi, sarà sicuramente quello della categorizzazione delle mezze verità, ovvero di tutti quegli articoli che riportano un fatto in maniera faziosa, nascondendone una parte e mettendone in risalto un’altra così da distorcere la percezione dell’evento: chissà cosa farà, il famigerato algoritmo, in quel caso.