10 Aug 2011
Può capitare che durante la giornata veniamo sommersi dagli stimoli di ciò che ci circonda; questo è in particolare vero di chi fa del web la sua seconda casa, e vive in costante connessione, lavorando, mangiando, cucinando, bevendo, dormendo (ah quante volte, svegliarsi alle quattro di notte per la vibrazione del telefono e invece è una stupida newsletter). Ebbene, ovviamente non ce la si fa a star dietro a tutte queste cose, a tutti gli articoli che incontriamo e che non abbiamo il tempo di leggere perchè siamo, ahimè, troppo impegnati ad avere una vita sociale (:D) o robe simili; così qualche geniale sviluppatore ha inventato per noi la possibilità, prima, ed i mezzi per farlo, poi, per permetterci di salvare il contenuto di questi post o articoloni che siano tramite pochi click per poi rileggerli altrove, magari quando non abbiamo niente da fare o comunque siamo costretti a subire la più grande piaga del terzo millennio, ossia i tempi morti.
Read It Later è il nome di uno di questi servizi, per la precisione quello che uso io dato che comunque si integra alla perfezione sia con tantissimi browser che con molti altri tipi di dispositivi; per esempio, mi soffermerò più avanti sull'applicazione per Android, fatta veramente bene. Read It Later, insomma, è un servizio che memorizza i contenuti al posto nostro, una sorta di rumine del web: è vero che i tempi morti sono fondamentali per riflettere su se stessi e sulla vita, ma fondamentalmente io in sette ore di treno, ad esempio, mi annoierei un sacco. Per questo motivo quindi ho cominciato ad usare questo servizio, che mi permette di sfruttare al massimo il mio tempo sostituendo le parti noiose della mia vita con delle letture interessantissime (selezionate, ovviamente, dal sottoscritto).
Read It Later per Chrome
Attualmente il massimo che possiamo ottenere da Read It Later in quanto a supporto per Google Chrome è solo robaccia non ufficiale. Piuttosto deludente per me e per voi, vista la figata di servizio che è e considerato quante parole c'ho speso appena un paragrafo fa per dire quanto sia compatibile con tutti i browser di questo mondo e quanto sia fichissimo tutto questo sistema... ma purtroppo va così. Onestamente, non sento molto la mancanza di un'estensione ufficiale per Chrome. È vero infatti che è comodo poter gestire tutto da una macchina di più grandi dimensioni come un PC con su un browser, in realtà tutti gli articoli me li leggo dall'androide, quindi per il momento almeno chi se ne frega.
Mi basta l'estensione che utilizzo io, cioè questa, la quale mi mette a disposizione un piccolo tasto nella URL bar di Chrome il cui compito è, con la semplice pressione, quello di mandare il post a Read It Later per processarlo e successivamente salvarlo nei propri archivi; i miei dispositivi mobili faranno il resto scaricando automaticamente l'articolo per farmelo leggere poi.
Read It Later per Firefox
A quanto pare, per Firefox invece abbiamo supporto ufficiale e completo: l'estensione salva tutto anche offline, e rende disponibile il contenuto anche per la lettura via browser, cosa da non sottovalutare soprattutto se non si possiede uno di quegli aggeggi infernali Linux-powered che molti usano chiamare smartphone ma che a me piace ribattezzare "affare meraviglioso che fa dodicimila cose e in aggiunta addirittura telefona".
Read It Later per Android
Eccoci qua, al punto chiave. Se con i nostri PC abbiamo già fatto esperienza di quanto Read It Later sia un gran servizio che ci permette di massimizzare la nostra produttività facendo fuori qualsiasi momento morto, con l'applicazione per Android si arriva all'apoteosi: il nostro "telefono" infatti scarica automaticamente gli articoli, rendendoceli disponibili in una praticissima forma condensata, ossia priva di template e altri fronzoli, semplicemente testo nero su bianco, ben contrastato e di facile lettura. Nella versione Pro che costa allo stato attuale ben due euro abbiamo un sacco di feature in più, ma la versione Free per il momento, anche solo per provare, andrà benissimo; se poi volessimo acquistare Read It Later Pro, c'è uno sconto del 40% su Android Market di cui io, personalmente, ho proprio intenzione di approfittare.

Devo dire che grazie a Read It Later ho ripreso a leggere anche la sera prima di dormire, sparandomi magari tutta la salva di post che per un motivo o per l'altro di giorno non riesco a leggere; in più, sono previste molteplici opzioni di sharing per gli articoli direttamente dall'applicazione, cosa che ho apprezzato parecchio essendo io un drogato di Twitter: con pochi tap sullo schermo chi mi segue riceve il mio update con annesso articolozzo interessante da leggere. O magari da salvare su Read It Later :D
Insomma, veramente una bella scoperta, e se prima potevo perdermi qualcosa del vastissimo web, finalmente ho scoperto come diavolo fare per restare "on the edge" senza sviluppare sedici personalità diverse. Consiglio il servizio, e soprattutto consiglio l'applicazione per Android che non ho ancora testato su nessun tablet, ma che dev'essere qualcosa di meraviglioso.
06 Aug 2011
Negli ultimi tempi ho avuto un calo di produttività decisamente vergognoso. Per questo motivo, mi sono messo a guardare in giro, per trovare qualche soluzione elegante, e la scelta è ricaduta su ciò che mi è più simpatico in questo ambito, una mia vecchia conoscenza di un anno fa, ovvero la Tecnica del Pomodoro. Cos'è la Tecnica del Pomodoro? Questa tecnica è un metodo per tracciare il proprio tempo in maniera molto semplice: bastano infatti un timer da cucina, e un pezzo di carta, se proprio vogliamo essere precisi, altrimenti anche il solo timer può bastare abbondantemente; detta in parole povere, si tratta di focalizzarci su un solo task finchè non suona il timer, impostato "di default" a venticinque minuti, dopodichè cinque minuti di pausa.
Sul sito ufficiale vengono date indicazioni generali, modalità per tenere traccia dei pomodori svolti, feedback e tanto altro. Io l'ho trovata piuttosto utile, perchè esattamente come è successo all'inventore della Tecnica, sono riuscito a tramutare il tempo buttato con i miei deficit dell'attenzione in tempo utile all'apprendimento, alla scrittura, a tutte quelle cose insomma che necessitano di un po' più di testa per essere fatte. Certo non mi metto a impostare pomodori per giocare ad Angry Birds :D
Posso garantire che per me funziona, ed è stata una manna dal cielo anche per la mia autostima: tenere traccia di cosa ho fatto e vedere che la mia produttività poteva aumentare ulteriormente mi ha spinto a fare ancora di più. Psicologia spicciola? Probabile, ma se funziona, tanto vale farsi abbindolare.
Pomodori su Android: Pomodroido
Naturalmente da bravo Android-addicted ho subito installato sul mio dispositivo onnisciente e onnipresente qualcosa che mi permettesse di tracciare e configurare i miei pomodori in maniera molto nerd: ho quindi optato per Pomodroido, che già nella sua versione aggratise fa tutto ciò che deve fare. Possiamo infatti scegliere la durata dei pomodori, la durata delle pause piccole e la durata delle pause lunghe. Tutto ciò combinato ad una simpatica e piacevole interfaccia tutta rossa, che, direi, è molto in tono con l'argomento.

La versione a pagamento non offre grandi cose in più: un minimo di integrazione con Tasker (il quale ci viene spiegato dal Vinz in un suo post genialissimo che vi consiglio di leggere), e qualche altra scemenza; per il resto, è tutto compreso nella versione gratuita dell'applicazione che comunque credo comprerò, per dare due soldini allo sviluppatore che ha fatto sicuramente un ottimo lavoro. All'interno di Pomodroido viene anche incluso un carinissimo sistema di achievement, il quale dopo un certo numero di pomodori svolti ci fa "avanzare di livello" come nel migliore dei giochi di ruolo. Nerdiness inside nerdiness, quindi :P
Ma... mi distraggo troppo!
Se troppe persone vi rompono le scatole mentre siete focalizzati sul vostro task, non riuscirete a completare il vostro pomodoro. Il metodo che suggerisco io, per riuscire a trarre soddisfazione dalla Tecnica del Pomodoro e portare al minimo i compiti rimanenti sulla vostra todo-list, è semplicemente quello di mandare a fanc cagar quel paese un po' di gente. Uno deve pure essere lasciato libero di lavorare, altrimenti tutta questa manfrina non serve proprio a un bel niente.
Ora vado, ché mi suona il pomodoro.
04 Aug 2011
Voglio dire, non farò tutto lo scalpore del mondo, come ha fatto Linus, con la mia dichiarazione, la quale probabilmente era pure prevedibile: alla fine non ho resistito, e ho installato anch'io XFCE sul netbook. Ovviamente sulla workstation casalinga KDE regna ancora sovrano, dato che con questa 4.7.0 ha trovato ancora meno occasioni per deludermi, ma sul mio piccolino che uso in mobilità per lavorare, scrivere e sbrigare le mie cose, direi che XFCE va più che bene.
Ora, perchè il motivo di un gesto del genere? Beh, direi che è lampante: se per Linus infatti il motivo poteva essere l'innaturalezza di certi gesti, la pazzia di alcune decisioni prese dal Design Team, per me semplicemente il motivo è che il mio povero netbook non regge mica una roba del genere. Mutter e GNOME Shell sono pesanti come un ippopotamo col colesterolo a mille, e di certo gli scatti non mancavano. Con Compiz invece come al solito, situazione completamente diversa: fluidità negli effetti e un po' di "retrogusto vintage" con XFCE come ambiente desktop, che non guasta mai.
Alla fine è funzionale, e per me è ciò che conta.
Questo, naturalmente, con buona pace di Lapo: sicuramente darò ancora tante chance a GNOME che resta, almeno con il ramo 2.X, il desktop environment del mio cuore, solo che... per il momento va così. Non posso permettere che mi venga sottratto anche un solo secondo di operatività da qualche scatto di troppo. Poi, se devo essere proprio sincero, tutto ciò s'è riflesso anche sulla temperatura (ovviamente) della CPU.
Ecco.
03 Aug 2011
Ho parlato nel mio precedente post di come sia flessibile Arch Linux in virtù delle possibilità che Pacman ci dà, di ricompilare grazie ad ABS qualunque pacchetto presente nei repository ufficiali, o di crearcene di nuovi. Oggi voglio dirvi un paio di cose interessanti su KDE 4.7.0 e KWin: la nuova release di KDE infatti tra le novità vede proprio tanta carne al fuoco per il suo gestore di finestre, rinnovato in tanti aspetti, e facente uso adesso, se ricompilato con le giuste flag, di OpenGL ES.
OpenGL ES, ossia OpenGL for Embedded Systems è un particolare comparto del famoso framework grafico che si avvantaggia delle API messe a disposizione dai dispositivi integrati per aumentare le prestazioni, specialmente sui chipset Tegra2 e altri componenti di quel "parentado". Kwin fa uso di tutto ciò? Dall'ultima release, certo. Possiamo quindi ricompilare un pezzo di KDE (compreso il gestore di finestre) per abilitare tutto ciò, e possiamo farlo facilmente dal momento che abbiamo ABS come nostro potente alleato. Andiamo quindi in una directory vuota che adotteremo come workspace:
$ yaourt -G kdebase-workspace
Al posto di usare yaourt potete anche sincronizzare con il comando abs tutto il tree e copiarvi il PKGBUILD a mano, ma sinceramente così è più comodo, anche se richiede che abbiate installato, ovviamente, il blasonatissimo tool.
Purtroppo dobbiamo ricompilare tutto il workspace solo per quattro cose di KWin, ma pazienza. Dobbiamo solo aspettare che il processore faccia il suo sporco lavoro per compiacerci. Intanto installatevi libgles e libegl, poi a questo punto:
$ cd kdebase-workspace && vim PKGBUILD
Al posto di vim potete usare l'editor di testo che preferite, basta che agiate con cognizione di causa :D
Dopo aver aperto il file, localizzate facilmente queste righe:
-DKWIN_MOBILE_EFFECTS=OFF \
-DWITH_OpenGLES=OFF \
-DKWIN_BUILD_WITH_OPENGLES=OFF
E tramutatele in:
-DKWIN_MOBILE_EFFECTS=OFF \
-DWITH_OpenGLES=ON \
-DKWIN_BUILD_WITH_OPENGLES=ON
Perfetto. Abbiamo abilitato ciò che ci serve. Adesso, possiamo tranquillamente lanciare il processo di build:
$ makepkg
Attendiamo. Io ho un dual core e tutto il compilame vario ha impiegato una quindicina di minuti per finire il tutto; sicuramente sul vostro esacore con hypertreading ci metterà molto meno. Appena finito, dopo una breve (spero per voi o dovete far controllare l'hard drive) fase di impacchettamento, makepkg ci sputerà fuori un pacchetto pronto per essere installato sul nostro sistema.
# pacman -U *.pkg.*
Con questo comando andiamo a sostituire il pacchetto creato dal buon Andrea 'BaSh' Scarpino (che ringrazio per la distribuzione di KDE che ci offre, sempre impeccabile) con il nostro. Riavviate e godetevi lo spettacolo... spettacolo che, ovviamente, per chi non gode di OpenGL ES si concluderà con un imbombamento generale del compositing di KWin. Per voi fortunati che avete schede video compatibili con queste estensioni, se non fate questo procedimento sarete passibili di pena di morte. Ché io non posso.
01 Aug 2011
Negli ultimi tempi, mi è stata fatta spesso e volentieri la domanda clue del perchè uso Arch Linux: cosa rende Pacman un package manager migliore? O comunque, in cosa esso si distingue da gestori di pacchetti blasonatissimi come APT o Yum, o anche Zypper? In questo articolo che scrivo adesso, provo a fare mente locale, sia per me che per le persone che mi hanno fatto spesse volte questa domanda; in quanto AUR packager, cercherò di mantenere comunque un tono critico sulla questione e non convincervi che il vino è buono solo perchè io sono l'oste. Un grazie speciale a Zidagar che mi ha per così dire triggerato, dato che senza il suo domandone di sabato (e successivi commenti) su Linux Italia non sarei stato stimolato così intensamente a scrivere un post del genere. Allora, pronti? ;)
Semplicità prima di tutto
Pacman è un gestore di pacchetti semplice, sia come ovvio nel funzionamento e nel comportamento, che nella sintassi: è infatti molto più comodo, almeno per me, usare Pacman piuttosto che qualsiasi altro gestore di pacchetti. Appendendo infatti lettere singole alle opzioni più generali possiamo generare comandi che eseguano più di una azione, così se di solito abbiamo bisogno di più comandi o di stringhe chilometriche ed espressioni regolari lunghe un miglio, il package manager di Arch Linux ci viene incontro mettendo a nostra disposizione la possibilità di fare millemila cose con un solo, brevissimo comando.
In cosa si traduce questo? Beh, ovviamente si traduce nel fatto che possiamo usare tutte quelle ore sprecate a digitare caratteri su caratteri in qualcosa di molto più proficuo, come patchare un software o rimediare a qualche configurazione errata di sistema che sicuramente avrete dimenticato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quindi insomma, niente di trascendentale se uno ha le competenze, ma tutto di guadagnato.
C'è poi un discorso di funzionamento di base, che almeno a me è molto comodo: se altri gestori complicati incorrono per esempio in problemi di dipendenze e configurazioni lasciate in sospeso, grazie al fatto che la configurazione viene svolta in gran parte dall'utente e c'è molta poca dinamicità in fase di installazione, comunque una volta dato un comando di gestione dei pacchetti è veramente molto difficile se non impossibile che il package manager si pianti a metà del lavoro dicendo che c'è quel pacchetto non configurato e quell'altro in attesa di cose mistiche. Altro tempo libero dunque, che possiamo dedicare a leggere un buon libro, ad esempio L'Etica Hacker di Pekka Himanen.
Flessibilità quanto basta (cioè molto)
Sicuramente Pacman è concepito in maniera tale da risultare molto flessibile. Il suo concetto di semplicità fa si che con un comando io possa agire chirurgicamente sui pacchetti installati, rimuovendone alcuni senza compromettere il funzionamento del sistema di gestione del software, fregandomene poi di tutto ciò che è il sistema di dipendenze. Questo significa che per sostituire un pacchetto dipendenza di altri, mi basta rimuoverlo e, facendo un po' d'attenzione, inserire il mio nuovo pacchetto non dando troppo fastidio ai software in esecuzione: in questo modo avrò personalizzato il sistema senza dover scoperchiare necessariamente tutto; la magia è resa possibile dal fatto che Pacman viene distribuito insieme ad un set di script che lo completano e che sono il suo vero punto di forza.
Se infatti la gestione del software risulta semplice ed agevole, comunque la flessibilità estrema (anche se non quanto Portage ovviamente) viene raggiunta concependo Pacman non come un sistema di gestione dei pacchetti, ma come un sistema di ibridazione tra la manutenzione tradizionale dei programmi tramite il paradigma a pacchetti, e la gestione dei ports. I ports sono quella cosa che ha reso tanto famosi BSD e Gentoo: file di testo addetti a istruire un sistema di script su come compilare ed installare un determinato tarball. Assieme a Pacman abbiamo quindi makepkg che si occupa di creare pacchetti dai PKGBUILD, ossia i file testuali che noi o altri scriviamo per compilare un software senza problemi. E assieme a Pacman e makepkg, ci viene fornito l'ABS, ossia l'Arch Build System, il quale consiste di tutti i file PKGBUILD dei pacchetti presenti nei repository ufficiali.
Avete capito bene. Questo significa che se non ci sta bene come è stato compilato un pacchetto dagli sviluppatori della distro, possiamo prenderci il PKGBUILD, personalizzare tutto in base alle nostre esigenze, dai metadati di pacchetto alle flag, al processo di build, e poi darlo in pasto a makepkg che ci sputerà fuori dopo la fase di compilazione e impacchettamento, un pacchetto fatto da noi secondo le nostre esigenze. Questa modularità fa si che Pacman possa essere utilizzato in maniera assolutamente proficua anche per server, o per configurazioni particolari che magari hanno bisogno del tale software compilato in una certa maniera (flag particolari, e quant'altro).
In aggiunta a questo, è anche semplicissimo e facilissimo mantenere un repository per Pacman, soprattutto con l'ausilio di un paio di scriptini editi dalla comunità, ma di questo magari ve ne parlo un'altra volta.
Pacman sa farsi da parte
Volete il pezzo forte? Il bello di Pacman è che se non ci sta bene come funziona, possiamo sostituirlo. Ebbene si, possiamo mandarlo a quel paese allegramente e gestire il nostro software in mille altre maniere :D
Questo è possibile grazie alle libalpm, ossia le LIBraries for Arch Linux Package Management, scritte in maniera separata da Pacman, il quale è solo un wrapper di questi file: esistono package manager alternativi, come il famosissimo Clyde, che purtroppo è defunto da poco per mancanza di tempo da parte dello sviluppatore principale; tra l'altro, essendo stato io un utente di Clyde in passato, invito fortemente chi sa programmare (non io che sono, detto chiaramente, una pippa come developer) a prendere in mano il progetto. Insomma, Pacman sa fare le cose in maniera semplice, pulita, non sporca, mangia poco e disturba ancora meno, come abbiamo visto. Ma vale veramente la pena passare ad Arch Linux (e a Pacman) se si vive bene senza?
Pacman VS The Others
Non ho molte parole da spendere in questo caso. Posso dire che, sicuramente, utilizzare una distro come Arch Linux che ha un approccio radicale e assolutamente nuovo al software, è un'esperienza di vita. Se quindi siete un po' annoiati una domenica pomeriggio, anzichè sbragarvi sul divano a fare niente, prendetevi Virtualbox e mettete su una bella macchina virtuale con l'ultimo media di installazione di Arch impostato per il boot. Sicuramente, non solo vi divertirete un mondo, ma forse vi piacerà così tanto come è fatta la distribuzione, e come è fatto Pacman, da dargli una chance sulla vostra workstation.
Sicuramente il buon Pacman manca di un'interfaccia grafica adeguata; APT possiede ad esempio Synaptic, ma proprio per questo, se per fare operazioni complesse con APT abbiamo bisogno del suo blasonato frontend, grazie alla semplicità di cui sopra Pacman non ha bisogno di queste cose: dalla CLI abbiamo tutto ciò che ci serve, senza doverci complicare ulteriormente la vita.
Che la Forza sia con voi.