Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Twitter: 5 cose da non fare

Ormai su Twitter ne vedo di cotte e di crude, e sulla mia timeline per quanto io fermi i contenuti molesti scorre sempre qualcosa che non va: piccoli esempi di uso sbagliato del mezzo, che contribuiscono ad aumentare la frustrazione mia e, suppongo di tanti altri utenti che ne fanno uso e che sono costretti ogni giorno ad essere vittime di un flusso di informazioni troppo alto, da filtrare.

Siccome la convivenza serena prevede l'utilizzo di regole, mi sono preso la briga di ritagliare cinque minuti del mio tempo per pensare a cosa non va (essenzialmente nella gente, e non nel mezzo in sé che è perfetto), ed ho stilato un vademecum di cinque cose da non fare assolutamente, perchè sono cose che non interessano a nessuno, o perchè sono banalmente comportamenti non sbagliati, ma estremamente fastidiosi.

Non includere mai in un tweet più di due menzioni (mentions)

In realtà il discorso su questo punto è un po' articolato, tuttavia si può riassumere decentemente in quanto detto sopra. Perchè? Oh, beh, vedo sin troppe persone che, alla stregua del tag su Facebook, tendono a menzionare alla fine di un tweet almeno cinque individui diversi. Ok, niente di sbagliato, no? Peccato che lo spazio per le menzioni si mangi i 140 caratteri in maniera impressionante, e quindi il soggetto sia costretto a dover ricorrere al male dei mali, TwitLonger. Per di più, Twitter in maniera predefinita si occupa di inserire nell'eventuale reply tutti gli utenti menzionati nel tweet precedente, e così il gioco si ripete: TwitLonger (ARGH) come se piovesse, tweet illeggibili per via delle troppe menzioni, frustrazione frustrazione frustrazione e ancora frustrazione. Twitter è stato pensato come qualcosa di immediato, di effimero, di estremamente comunicativo con poche parole.

Il che ci porta diritti al prossimo divieto (che è proprio un divieto vero e proprio, vi ammazzo se lo fate).

Non usare mai Twitter come una chat

Il che ovviamente include anche il corollario: non usare mai Twitter come un posto per fare domande, per quanto puoi. Per quello esiste Quora.

Tornando al punto, è piuttosto fastidioso leggere conversazioni iniziate nella notte dei tempi, e totalmente svincolate dal contesto, nonchè reply piuttosto repentine che invadono la timeline come un parassita e ti fanno uscire fuori di senno. Ok, sono d'accordo, Twitter per supplire in parte al problema della decontestualizzazione ha implementato la vista a thread per ogni messaggio, ma il mezzo non è concepito per una tale aberrazione: le reply sono fatte per brevi scambi di battute, non per chiacchierate interminabili.

Se si vuole chattare pur usando Twitter, si possono usare i DM (messaggi diretti): non invadono la timeline degli altri, preservano la privacy, e con iOS e Android possono addirittura sostituire gli SMS. Dico questo perchè molto spesso si vedono partire reply ad un tweet interessante, del tipo "Sono riuscito ad hackare il mio letto e a trasformarlo in un portabazooka da tavolo", dove c'è scritto "Che hai mangiato a pranzo?". Ecco, anche un po' chissenefrega no?

Perciò, ok rispondere agli altri, ma con moderazione. Intavolare una lunga discussione è una cosa che può essere fatta su altri social media; c'è la possibilità di farlo anche su Twitter, certo, ma sempre stando attenti e soprattutto, dopo quell'iniziale scambio di battute, cambiando mezzo. Una chat vera e propria, una mail (mezzo sempre più sottovalutato), un thread in un forum, sono alternative molto più performanti.

Non usare hashtag senza motivo

L'esempio più lampante di effrazione a ciò è #sapevatelo. Non avete mai visto un tweet che riporti questo hashtag? Auhm, allora non usate Twitter :D

In poche parole, #sapevatelo è stato uno degli hashtag più usati per un certo periodo, solo che il suo utilizzo è tracimato e adesso è fuori controllo: chiunque lo appende a qualunque cosa, anche se non c'entra niente, come se quello che quell'individuo sta dicendo dovesse interessare all'intero orbe terracqueo. "Oggi mi vado a comprare l'iPhone #sapevatelo" - l'unica reazione ad un tweet del genere può essere: estiqatsee?

Altri esempi di hashtag messi senza motivo possono essere trovati in parole improbabili; parole che diventano hashtag senza colpo ferire, con eventi del tipo: "Oggi ho mangiato la #pasta" - chiaramente gente del genere non ha minimamente capito cos'è un hashtag. Probabilmente sono le stesse persone che vi fanno impazzire inserendovi in dei tweet con almeno venti menzioni l'uno. Insomma, una bella idea per categorizzare un insieme di tweet trasformata in un'aberrazione.

Mai dilungarsi

Twitter è nato come un mezzo per condividere piccoli pensieri della lunghezza massima di 140 caratteri. Innanzi tutto, premetto che io sono una di quelle persone per le quali se una cosa non può essere detta in 140 caratteri allora non è per niente importante (la maggior parte delle definizioni di Matematica e Fisica hanno poco più di 140 caratteri); a volte vedo persone che ricorrono come ho già detto sopra a TwitLonger. Ora, a parte il fatto che un tipo di servizio che mi svincola da Twitter, e mi porta su un server suo a leggere il tuo contenuto, dove ci sono banner e quant'altro, dovrebbe essere al limite del legale, non sopporto TwitLonger perchè mi disturba la vista con un antiestetico link che mi serve solo a finire di leggere, e non da alcun valore aggiunto al tweet o alla discussione.

Detto ciò, non finisce qui: c'è gente leggermente più dritta ma ugualmente secondo me da prendere a bastonate, che non solo non sa stare nel limite dei 140 caratteri, ma addirittura, tracimando, sconfina nel tweet successivo. Succede quindi che un individuo sano di mente si ritrova una cosa come sei tweet nella timeline, magari inframmezzati da messaggi di altre persone (ovviamente, com'è giusto che sia), e per arrivare a capire dove diamine inizia una frase impiega buoni cinque minuti del suo preziosissimo tempo.

Ora, io dico, se non sapete formulare frasi stringate, trattenetevi. E fatevi vedere, perchè non state bene.

Ci sono poi alcuni utenti che, applicando questa specie di "condono" ai propri contenuti (che in questa maniera vengono presentati al lettore in una forma a dir poco orrida), arrivano a scrivere dei veri e propri temi su Twitter, delle pagine di diario che tipicamente fanno solo incrociare gli occhi al povero follower e che di solito iniziano con "e poi è successo che". Con ciò ci attacchiamo direttamente al prossimo e ultimo punto, ossia...

Mai twittare fuori contesto

Ovvero, cenni di comprensibilità. E si perchè uno un giorno apre la sua bella timeline, sorridente, e vede un tweet in cima a tutto che recita: "E poi siamo andati al parco."

Eh. E quindi?

Chi? Dove? Cosa? Almeno le cinque W, no?

Mi spiego meglio: gli stessi individui che adorano le pratiche di cui sopra, fanno perdere di consistenza ai propri tweet, privandoli di un inizio e una fine scrivendo più tweet per un unico pensiero, oppure, cosa ancora più orribile, facendo male il live tweeting. Il live tweeting è una cosa che, in primo luogo, bisogna essere capaci. In secondo luogo, è quella pratica di narrare attraverso Twitter eventi che si stanno svolgendo in quel momento, per fare della semplice e pura informazione. Il problema è che alcune persone credono che il live tweeting si faccia così (prendiamo ad esempio trasmissioni a caso televisive, o eventi vari): "Grandissimo. #Annozero", "L'ha baciata! #Beautiful", "Sono saliti sul palco! #HeinekenJamminFestival".

Ora, una volta per tutte, non si fa così, per tutti i santi. NO.

La grammatica italiana, e anche quella della maggior parte dei linguaggi di larga diffusione al momento, impone che nella frase ci siano un soggetto, un verbo, e un oggetto; se io non trovo una di queste tre maledettissime componenti, non capirò nulla di ciò che tu dici, a meno di non conoscerti da vent'anni. E su Twitter è abbastanza raro che un follower ti conosca da vent'anni no? Anche perchè non è una chat.

"Steve Jobs sale sul palco #BackToMac" è un esempio di tweet composto decentemente. Stringato, niente menzioni idiote di sei persone alla volta, l'hashtag è motivatissimo, e c'è soprattutto il contesto. Ovviamente dieci minuti dopo il tweeter potrebbe inviare: "#Figata #Abnorme #BackToMac" che è un tweet sconclusionato, ma a voi la scelta e il rischio di seguire utenti che abitualmente si comportano come VIP e non sanno nemmeno qual è la capitale dell'Italia. La Netiquette è un diritto di tutti, e bisogna adattarla un po' anche a questi ambienti relativamente nuovi, non siete d'accordo? ;)

Debian packaging, un PDF interessante

Negli ultimi mesi mi è passato sotto il naso parecchio materiale degno di nota, tuttavia mi sento quasi in dovere di segnalare l'interessantissimo PDF di Lucas Nussbaum, che si occupa di illustrare i dettagli della creazione di un pacchetto deb per una delle migliori distribuzioni in circolazione, Debian.

Probabilmente la mia è una sorta di invidia del pene, perchè pur desiderando creare pacchetti ben fatti, al tempo dalle mie mani uscivano solo delle ciofeche allucinanti. Immagino che con questa piccola guida, riprenderò a impacchettare qualcosina per Debian nel mio piccolo, magari cercando di migliorare gli obrobri stratosferici che ho mandato in giro anni fa :D

Se vi interessa, o anche solo per una lettura interessante la sera, sempre che non abbiate già scaricato la Trilogia in Cinque Parti di Douglas Adams, potete prelevare il PDF a questo indirizzo, direttamente dal GIT ufficiale dell'autore.

Buona lettura ;)

Syn, il package manager di Paul Tagliamonte

Stavo stiracchiandomi comodamente alla mia scrivania dopo una stancante ma produttiva e soprattutto interessante giornata universitaria, quando ho visto con la coda dell'occhio spuntare fuori un elemento più che pregevole dal mio Google Reader. Clicka che ti riclicka, da Planet Ubuntu ho pescato questo post di Paul Tagliamonte che, tra una botta di pazzia e un'altra, ha deciso di imbracciare le sue armi per costruire nientepopodimenochè un package manager.

Ebbene si, un nuovo gestore di pacchetti chiamato Syn, l'ultima creatura per ora solo in forma di mockup del buon Paul, che da una parte mi sorprende per la volontà di creare un progetto del genere nel 2011, quando di package manager dovrebbero essercene già abbastanza, dall'altra mi solletica. Già, perchè seppur nella sua inconcretezza, questa piccola follia narrata sul blog di Paul episodio dopo episodio sarà sicuramente trasformata, in futuro, in una serie di articoli estremamente didattici; una di quelle cose in stile "cosa fare - cosa non fare", più vari episodi simbolici.

Insomma, oltre le solite considerazioni, banali, di rito, posso sentirmi di dire: vai Paul, vai così. E tutti a leggerci l'inizio della storia.

HTC Desire: S-OFF, di che si tratta

È la prima volta che faccio un post relativo ad un solo terminale, ma bisogna anche capire la circostanza: odio riferirmi ad una sola branca dell'utenza di un sistema operativo, e così come quando parlo di Linux cerco di essere il più possibile "distro-agnostic", anche quando parlo di Android (che alla fine è sempre Linux) cerco di prescindere dal tipo di terminale che maneggio.

Tuttavia, la circostanza richiede un post apposito, sia perchè molte case non bloccano sino a questo punto il bootloader dei loro dispositivi, sia perchè alcune delle procedure descritte sono valide per il solo Desire. Ma iniziamo, parliamo di S-OFF.

Cos'è S-OFF?

S-ON, il contrario di S-OFF, è un modo molto carino per ricordare a te, povero utente sfigato, che polvere sei e polvere ritornerai. In poche parole, S-ON è la sigla che corrisponde ad un bootloader dotato di misure di sicurezza tali da impedire l'installazione di immagini (recovery, system e quant'altro) non firmate. Quindi, in parole povere, niente smanettamenti paurosi tramite fastboot, e niente mount in scrittura di /system, /cache, e così via. Il motivo per cui tutto ciò è importante, è che tramite la possiblità di scrittura in /system si aprono un sacco di possibilità a livello di hacking, permettendo la manipolazione del filesystem di Android e di ogni file del proprio dispositivo, senza limitazioni.

S-OFF è la sigla che corrisponde ad un bootloader sbloccato, che permette di fare tutto ciò. Per ora AlphaRev, un hacker della comunità XDA, ha rilasciato il proprio tool per la procedura di S-OFF funzionante con HTC Desire, Legend ed Espresso; il processo è piuttosto semplice, e basta fare riferimento a questa pagina che, seppur nella sua mediocrità estetica, risulta piuttosto utile a livello di contenuti.

Effettuare la procedura di S-OFF

S-OFF può essere facilmente raggiunto scaricando l'immagine ISO del toolkit, e masterizzandolo su un CD. Io per comodità ho creato una pendrive USB da cui fare il boot, anche perchè reputo il CD-ROM un mezzo piuttosto antiquato, e dire che ho dovuto usarlo per presentare il mio progetto di Ingegneria degli Algoritmi. Dicevamo, la ISO: masterizziamola, copiamola, scriviamola da qualche parte e bootiamola: ci ritroveremo in un ambiente basato su CrunchBang Linux, nel quale girerà subito in automatico lo script di AlphaRev: ci basterà collegare il nostro dispositivo con il debug USB abilitato, e in qualche minuto (più un paio di reboot) avremo il nostro dispositivo completamente sbloccato.

Come accorgersene? Facile: riavviando in Bootloader Mode, vedremo la scrittina viola "Alpharev" sopra tutto, e avviando in maniera normale anzichè il solito bootscreen di HTC avremo Heat Ledger nei panni del Joker che ci saluta con la manina. Bene, a questo punto, abbiamo fatto l'S-OFF. Che fare?

Divertirsi con Fastboot e ADB

Io personalmente ho flashato subito una recovery custom. Direte "e beh, ma che differenza c'è, lo facevi anche prima" ma... non è proprio così: AmonRA 2.0.0 infatti necessita di S-OFF per poter essere flashata in maniera tradizionale, e siccome Unrevoked non ne vuol più sapere di funzionare in maniera decente sulle mie macchine, ho deciso di usare le maniere forti.

Cambiare HBOOT

Questo è meglio se non lo fate, dato che cambiare HBOOT è una procedura un po' rischiosa per il dispositivo. L'HBOOT è quell'affascinante cosa che tra una riga di codice e l'altra definisce, nella memoria interna, quanto spazio assegnare al sistema operativo e quanto ai dati dell'utente. Una sorta di tabella delle partizioni, ecco.

Capita quindi che usando ROM più piccoline di quella stock, ci si ritrovi con comunque poco spazio per i dati: si può cambiare HBOOT con un altro che abbia un'allocazione di spazio per l'OS minore, per ritrovarsi così con una memoria interna leggermente più capiente. Dato però che il reflash dell'HBOOT è una di quelle due o tre procedure che se non vanno a buon fine trasformano il telefono in un sasso molto costoso, per ora non voglio arrischiarmi. E non fatelo neanche voi. Ho scritto tutto ciò solo a titolo informativo.

Pastrugnare /system

Adesso che siete S-OFF potete giocare come vi pare e piace con il vostro sistema: cambiare bootscreen, cambiare boot animation e soprattutto modificare qualunque tipo di file residente in /system, come ad esempio qualche script che non vi piace e che volete migliorare. Magari, dopo cento e più edit, l'OS sarà più simile ad una ROM cucinata da voi che all'originale :D

In ogni caso, la procedura è semplice; c'è sempre da stare attenti mentre la si esegue dato che viene riflashato l'HBOOT con i rischi scritti su, quindi magari è meglio stare all'erta, in ogni caso è tutto abbastanza facile e indolore. Happy hacking ;)

Daniel Robbins - Costruire una distribuzione

Parlavamo poco tempo fa di come gestire un progetto open source: nei commenti si sono sviluppati pensieri interessanti, alcuni simili alle riflessioni fatte da me, altri contrari ma comunque ottimi spunti di riflessione sulla filosofia open e, soprattutto, sulla gestione del codice e dei programmatori, cosa più pragmatica.

Ripensando a questo, mi è venuta in mente una cosa: ma voi l'avete mai letto Making the Distro? Si tratta di un insieme di tre articoli, scritti dal fondatore di Gentoo Daniel Robbins, che parlano proprio di come costruire una distribuzione, partendo si dal lato tecnico, ma affrontando anche argomenti molto più "umani". Questo povero ragazzo che era Daniel all'inizio infatti, ha riscontrato costruendo giorno dopo giorno una delle migliori distro di tutti i tempi, che in realtà gestire un mucchio di gente, parlarci, cooperare, può diventare una fonte d'ira non indifferente. E soprattutto ha constatato con mano come l'open source, ai tempi come ancora adesso, non sia esattamente tutto rose e fiori.

Certo, la storia è da contestualizzare, tuttavia io penso che una letta alle righe scritte da Daniel non possa fare altro che bene, sia per vedere tecnicamente e umanamente come è nato il toolkit di Gentoo (specialmente Portage), poi per godersi un ottimo resoconto, una appassionante storia, di come un ragazzo possa creare un punto fermo nella storia dell'informatica anche solo hobbisticamente. Lo fece Linus Torvalds col kernel, lo fece Daniel Robbins con Gentoo.

Sul serio, leggetevi "Costruire una distribuzione". Vi farà bene. Ed è divertente.

Member of

Previous Random Next