Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Cloud, LAN sync, Dropbox. [Pensieri sparsi]

Sempre più spesso ormai mi capita di stare in università e tornare piuttosto tardi, oppure dover condividere semplicemente i dati da una macchina all'altra senza alzarmi. È tutto a portata di file manager, o di un comando mv: mi basta spostare i file interessati nella mia Dropbox, e in un istante li ho su tutte le macchine, come per magia. Riflettevo di questo qualche giorno fa, quando mi sono reso conto del livello certosino di accuratezza raggiunto proprio da Dropbox e sistemi simili.

Mettendo da parte infatti le riserve sulla sicurezza di un backend lato server essenzialmente chiuso e quindi indifendibile in quanto a privacy, in quanto non se ne conoscono le meccaniche di protezione e cifratura del dato, comunque Dropbox ha messo su un bell'ambaradan: i nostri dati infatti sono sui server dove risiede l'account, ma anche sulle macchine; tuttavia, se non si ha accesso alla rete globale, comunque il demone di Dropbox provvede a sincronizzare il possibile, grazie alla superba funzione di LAN sync.

Insomma: io ho la mia nuvoletta casalinga, fatta di più macchine che hanno accesso ai medesimi file sincronizzati localmente tra di loro; non appena sono provvisto di accesso alla rete globale, il demone grazie ad un complesso e meraviglioso sistema di versioning e diff binari, si sincronizza con i server centrali. Che sarebbe la grande nuvolona, l'astronave madre.

Siamo già nel futuro, ma non ce n'eravamo accorti.

Ubuntu attira... anche noi di Arch?

Stamattina aprendo il mio reader ho avuto l'opportunità di leggermi un articoletto scritto da Pierluigi, un personaggio della comunità ArchLinux con cui ho fatto amicizia negli ultimi tempi e che sin dal mio ingresso nella comunità di Arch ho sempre guardato con molto rispetto, dato che "ai miei tempi" manteneva un patchset per il kernel Linux (il -pierlo! Che tempi...). Ebbene, mi sono letto tutto il suo post dall'inizio alla fine, in cui spiega perchè ha dato una chance ad Ubuntu, ed elenca uno per uno i motivi che l'hanno fatto tornare ad Arch Linux come distro di produzione.

Sebbene sia anch'io molto tentato dalla distro di Canonical, comunque resto ad Arch per tutta una serie di motivi che sono perfettamente elencati nelle righe scritte con la mente ma soprattutto col cuore da Pierluigi. E il mio commento è: vai Pierlo, io ti seguo a ruota :P

Uniqo Kiwie: un tablet italiano... caruccio.

Nelle scorse settimane ho avuto il piacere immenso di fare da tester per Euronics Italia, che mi ha proposto un interessante device. Si tratta del tablet Android Uniqo Kiwie, nella sua versione da 8 pollici, che fornisce un'esperienza d'uso di questa classe di dispositivi abbastanza interessante; ma partiamo subito con i tre punti di questa recensione che vede al centro dei miei test Uniqo, il tablet, soprattutto per quanto riguarda il sistema operativo. Che è infatti il primo punto che andrò a trattare.

La ROM stock - potevate fare meglio

Per tutti coloro che smanazzano paciosamente con il robottino verde quest'affermazione può bastare; in ogni caso, espandendo, tutto ciò significa che la versione di Android fornita in Uniqo Kiwie è fornitissima a livello di software preinstallati; per esempio l'applicazione Books è ottima per leggere qualunque tipo di testo senza appesantire il processore pur con tutti gli effetti grafici del caso. Riguardo l'uso del sistema nel suo complesso invece ho potuto riscontrare parecchi impuntamenti soprattutto dell'interfaccia grafica più che dei thread e dei processi. Tutto ciò è dovuto a mio parere (e io sono un ROM chef nel mio piccolo, quindi credo di sapere di cosa parlo) innanzi tutto alla presenza di Android 2.1 anzichè 2.2, che come noto era molto meno reattivo delle versioni successive; a quanto pare però queste non sono state reputate "adatte" da Kiwie per un tablet, e così hanno preferito schiaffarci dentro un Eclair non troppo rifinito: in settimane di utilizzo infatti è capitato qualche increscioso riavvio improvviso, tralasciando poi anche qualche episodio di chiusura forzata di applicazioni.

Insomma, la cura per la ROM non è stata al massimo, tuttavia posso dire che questo difetto non pregiudica poi l'uso del dispositivo in sè.

Le caratteristiche

Uniqo Kiwie riesce a far avere all'utente tutto ciò di cui ha bisogno con solo 660MHz di processore: un clock abbastanza esiguo per un tablet che tuttavia riesce a soddisfare la maggior parte delle esigenze senza causare frustrazione nell'utente. Mi è stato però un po' ostico fare ad esempio una partitina ad Angry Birds. I task tradizionali come scrittura e social networking sono andati perfettamente a buon fine senza particolari imprecazioni da parte mia. Nonostante Kiwie abbia dotato l'Uniqo quindi di questo hardware non proprio all'ultimo grido, il tablet grazie anche alla sua maneggevolezza si difende abbastanza bene, mascherando gli impuntamenti con una scocca di materiali eccellenti per il retro, e buoni per la parte anteriore. Inoltre, la fotocamera frontale permette di videochiamare con le numerose applicazioni presenti sul Market (consiglio Tango).

In definitiva, il problema delle caratteristiche, fino a questo punto, non sarebbe un vero problema se tutto ciò non fosse contestualizzato in base ad un prezzo: la mia esperienza d'uso del tablet è stata proficua, anche sdraiato nella mia amaca a rilassarmi digitando "pigna pizzicotto manicotto tigre" come stress test per la reattività della tastiera, e mi era anche venuta la pulce nell'orecchio di fare un acquisto pazzo. E qui casca l'asino.

Quanto costa?

Ho sbiancato nel vedere che il modello da 8 pollici costa cinquecento euro.

Il che non sarebbe un problema, se dentro al tablet ci fosse un Tegra 2. Il problema è che la CPU è a 660MHz, la RAM c'è in abbondanza, fortunatamente, e soprattutto i materiali non giustificano tale costo; per questo motivo più che la versione da 8 pollici, mi sento di consigliare l'acquisto della versione da 7 pollici che viene circa duecento euro in meno ed ha le stesse caratteristiche tecniche. Certo, vi perdereste la custodia in pelle serigrafata Piquadro, ma poco male.

Un altro piccolo inconveniente è che la comunità non ha ancora iniziato a lavorare su questo dispositivo, quindi per il momento non si parla di sostituire la ROM stock, che come detto prima non mi sembra una build di Android adatta a questo dispositivo: c'è da sperare più che altro in un aggiornamento di Kiwie.

Conclusione

Non male veramente come prodotto, però costa troppo. :P

Holy nerds

Stavo pensando, ve la ricordate tutta la storiella di Adamo ed Eva, no? Quella di loro che stavano tanto contenti a farsi i cavoli propri, quando ad un tratto arriva uno che comincia a mettergli la pulce nell'orecchio. Quel qualcuno era il diavolo. Uno che ti convince, uno che ti si fa amico per poi rivelarsi, uno che è serpe in seno.

Insomma, caro Papa, Satana non è molto difficile da combattere. È soltanto un bravo social engineer.

[Si, è una cavolata. Si, potevo evitare di scriverla. No, non l'ho fatto.]

Una generazione di programmatori rovinati

Sono rimasto impressionato da come Jon Evans nel suo post su TechCrunch sia stato capace di colpire dritta al bersaglio la causa di uno dei mali più grandi quando ci si trova nell'ambito dello sviluppo aziendale, non importa se open o meno. La lentezza/incapacità di un programmatore infatti, di un membro della squadra, può essere il tallone d'Achille di molti, dell'intero team di sviluppo, e, se l'azienda si trova ancora in fase di startup, una cosa del genere può voler dire bancarotta nel giro di un tempo sorprendentemente breve.

Microsoft ci ha rovinati? Certamente, ma anche tutte le aziende che volevano essere come il gigante imperatore senza cuore della Silicon Valley; Google, divenendo leader dopo la "dipartita" del colosso Microsoft, ha adottato un approccio del tutto simile, e come dice Jon si è accorta adesso che le cose non vanno. D'altra parte però non fa nulla per risolvere fattivamente il problema, almeno nell'immediato; certo, smettere di fare domande imbarazzanti e inutili duranti i colloqui è un inizio, ma bisogna fare qualcosa di ancora più concreto.

Ad esempio? Ad esempio infliggere punizioni corporali a quei sedicenti professori di Informatica che per insegnarti a programmare usano Visual Basic, col risultato che un mio compagno di facoltà ha dovuto ridare l'esame di Fondamenti di Informatica più volte, e sbattere la testa sul manuale di C++ molto più di altri che non avevano ricevuto quel tipo di "trattamento". Eh si, a parte il problema individuato da Evans nell'algoritmo di scelta dei candidati (e degli assunti), comunque rimane il fatto che siamo al cospetto di una generazione di programmatori rovinata da quello che era il mito dell'alto livello usato per l'apprendimento delle basi; in ambito aziendale poi, infatti, il risultato è quello di essere lenti, non produttivi, non saper programmare.

Dio solo sa quanto sono grato di non aver chiesto a nessuno di insegnarmi a programmare fino ad ora.

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