È molto interessante che da oggi (ieri?) il framework .NET sia diventato open source, con una chiara dichiarazione d’intenti per quello che riguarda l’esecuzione del codice nella maniera migliore su Linux e OS X. Per di più, su GitHub, che non è la piattaforma di Microsoft ma un ente terzo.
Dal blog ufficiale:
Don’t believe it? I was skeptical as well so I conducted a little experiment. I moved [one of my personal open source] projects from CodePlex to GitHub. During the two years it was on CodePlex I’ve only received a single pull request. Five days after I moved to GitHub I already received three pull requests and found two other contributors. This was three months ago. In total, I’ve received 16 pull requests since then, many of them with substantial feature work. (By the way: one of the first ones was around adding unit testing, how awesome is that?). While this is obviously not a representative sample size, it does very much echo what we heard from our customers.
Personalmente non sono un fan dell’approccio “GitHub forever and ever”, ma effettivamente ormai GitHub è molto più che una semplice piattaforma di hosting dei sorgenti progettata in ottica un po’ più social. Se persino Microsoft arriva a fare una cosa del genere, è sicuramente lo spunto per una riflessione di carattere più ampio su cosa effettivamente è diventato GitHub per tutti noi, e se eventualmente potremmo mai prescindere, ora come ora, da esso e dal significato che ha per l’ecosistema open.
12 Nov 2014

È interessante vedere come solo ora una cosa che accade abbastanza comunemente nell’ambiente del software libero venga notata e diffusa: GNOME ha visto minacciato il proprio marchio in questi giorni da Groupon, il quale ha bellamente deciso (update: ma anche no) di fregarsene di qualsiasi trademark e chiamare Gnome il suo chiosco da infilare nelle attività per aumentare il tasso di conversione dei visitatori dei negozi affiliati.
Ovviamente, essendo chiamato in causa un ente più grandicello (GNOME Foundation), che come ricorda l’ottimo Joey Sneddon ha lanciato anche un appello per la raccolta di 80.000 dollari i quali serviranno a far partire una causa per aggiustare le cose, l’occasione per un caso di studio relativo alla trattazione tra trademark e rispetto dei brand open source è ghiottissima. :-) Il tutto è reso persino ancora più comico dal fatto che Groupon è sempre stata dichiaratamente tutta sorrisi e moine con l’ecosistema open: a questo punto l’unica cosa che possiamo augurarci è che l’azienda venga presa a sberle da una salva di giudici.
Ma non solo; Lucas Nussbaum, Debian Project Leader attuale, si è pronunciato sulla questione:
This legal defense is not just about protecting GNOME’s trademark; it is about asserting to the corporate world that FLOSS trademarks can and will be guarded. Not just by the project in question, but by the community as a whole. As a result, all FLOSS trademarks will be strengthened at once.
Personalmente, non è la prima volta che vedo accadere una cosa del genere: c’è stato un periodo che il logo di Arch Linux veniva inserito in qualsiasi cosa e copiato dalla qualunque (come in questo caso) almeno una volta ogni tre mesi. Non c’è mai stata però una violazione del trademark così evidente, e soprattutto così grossa. Piccole ditte di manutenzione o di rivendita condizionatori hanno rubato spesso il logo di Arch Linux; Groupon che ruba il nome a GNOME era qualcosa che ancora mancava all’appello.
Purtroppo proprio mentre scrivevo l’ultimo paragrafo Groupon ha capito che non c’è trippa per gatti e ha rinunciato, dichiarando che troverà un altro nome per il proprio prodotto - e nel frattempo la raccolta fondi della GNOME Foundation è quasi arrivata a compimento. Quello che però mi avrebbe reso veramente felice, e avrebbe reso valide in maniera ancora maggiore le parole di Nussbaum, sarebbe stato vedere delle aziende, delle corporate schierarsi al fianco di una fondazione che a conti fatti costituisce uno dei loro asset, anche se in maniera indiretta. Società come Red Hat, o Canonical, invece, non hanno mosso paglia.
Photo courtesy of Luis M. Gallardo D.
Da giovedì le emoji di Twitter sono open source e liberamente utilizzabili da chiunque.
<script src="//twemoji.maxcdn.com/twemoji.min.js"></script>
Se vogliamo fare i virtuosi possiamo persino lavorarle nel DOM:
var div = document.createElement('div');
div.textContent = 'I \u2764\uFE0F emoji!';
document.body.appendChild(div);
twemoji.parse(document.body);
var img = div.querySelector('img');
// note the div is preserved
img.parentNode === div; // true
img.src; // abs.twimg.com/emoji/v1/36x36/2764.png
img.alt; // \u2764\uFE0F
img.class; // emoji
img.draggable; // false
E poco altro. Sicuramente è importante avere delle emoji di riferimento da far renderizzare all’utente al posto di qualche font di sistema che è una schifezza (come quello, aehm, di Apple? - O quel coso schifoso che c’è su Linux… :-D), tra l’altro distribuite attraverso MaxCDN per essere usufruibili al massimo delle prestazioni da chiunque.
E - ops - c’è ancora Docker di mezzo. Canonical in questo periodo si sta riposizionando molto bene nel mercato del cloud, e dopo aver conquistato i giganti con i suoi strumenti molto ben rifiniti, sta ristrutturando la sua offerta per non farsi fare le scarpe da CoreOS e dai competitor che hanno visto in Docker una risorsa da sfruttare sempre più a fondo.
È tutto questo, quindi, che ha condotto Canonical a lavorare ad un nuovo hypervisor che sia veramente sicuro per i container, i quali hanno ottenuto rapidamente popolarità mentre il securing di soluzioni di questo tipo non procedeva di pari passo.
E comincia anche il mio controllo compulsivo ogni ora (ma anche meno). Daje :-D
Ci si rivede su Lollipop ;-)