Robby Russell ha messo per iscritto tutto quello che gli è successo e tutte le lezioni che ha imparato dal suo progetto più fulgido, ovvero Oh My Zsh.
Don’t try to make it perfect. Worrying how other people are going to react about your code shouldn’t be your biggest concern. Does it work? How do they feel when they’re interacting with it should be a higher concern. In my case, I’ve had some great contributors over the years who have helped tidy up and improve the quality of the code that I originally released.
Rarely has anyone said anything critical about my old code — maybe they should have, though. ;-)
Don’t try to be everything to everyone. There have been a few points in the history of the project where we hit a crossroads. In particular, there was a time when a huge rebuild was proposed, which I was quite excited about until I was able to wrap my head around some of the changes.
Sinceramente, non solo reputo Oh My Zsh un tool must-have per chiunque sia patito della shell, ma reputo anche questo progetto come uno dei più bei casi di studio di cose community-driven di successo, nonché una comunità estremamente accogliente sia nei confronti di questioni tecniche poste da membri esistenti, sia nei confronti di nuovi membri che iniziano a guardarsi intorno e cercano di avviare un processo di contribuzione direttamente al codice, o anche con semplici domande. Provare per credere.
31 Mar 2016

Abbiamo visto qualcosa di fenomenale secondo me nelle ultime 24 ore: mi sono astenuto dal commentare senza studiare in maniera un poco più approfondita, ma Microsoft ha appena presentato durante Build, l’annuale development conference targata Redmond, un runtime per Windows comprensivo di tutto l’ecosistema Linux a meno di qualcosina. Più che Linux, propriamente, Ubuntu.
Come funziona
Praticamente questo “coso” che hanno presentato, nello specifico, è una tecnologia che esegue una traduzione di chiamate di sistema Linux direttamente in chiamate di sistema Windows, un po’ come il layer di compatibilità Linux che c’è in BSD, in modo che gli eseguibili della toolbox classica di uno sviluppatore Unix vengano resi disponibili anche su Windows. Posso dire che è figo? Dai, concedetemelo.
È un bene?
Si. Per quanto sicuramente tutto questo possa incidere in qualche modo sull’uso di Linux come desktop (perché avendo alcune di queste comodità su Windows, sicuramente vengono a mancare alcune motivazioni che possono spingere i più ad installare Linux sul proprio PC), avere dentro Windows una finestra di cmd.exe che, eseguita, possa avviare da ssh ad apt è senza dubbio una grossa fonte di gioia. Io, probabilmente, non credo che userò Windows in maniera meno sporadica di adesso (anche perché di Unix uso un po’ tutto, e per adesso questo rimane poco più che un esperimento), tuttavia ci sono frotte di miei amici, colleghi, coworker e così via che non vedono l’ora di disintallare Putty (& co.) per passare al cmd nativo.
Compreso il sottoscritto che sul suo setup di Windows ha sempre un ambiente MinGW impostato.
Un ulteriore esperimento che proverei a fare? Beh: in fondo questo non è che un runtime, e Bash non è che una shell; chissà se ci gira anche Zsh, con Oh My Zsh.
Se siete interessati a saperne di più, in ogni caso, il mio è solo un commentario delle informazioni che Canonical stessa ha condiviso attraverso Insights, il suo blog relativo ai case study.
Matteo Brunati, sul suo blog, nel 2015:
I blog nella velocità e nella lotta dell’attenzione sono delle isole ben piazzate nella Rete, che danno maggior memoria rispetto al classico mondo dei Social Media.
Ci sono sicuramente meno intermediari che possono sparire nel tempo, tanto per dire.
Per rispondere alla domanda che lui si pone e pone ai suoi lettori in questo pezzo che secondo me vale la pena di leggere, secondo me vale ancora la pena tenere un blog per una serie di motivi: primo fra tutti fare chiarezza mentale con sé stessi. Un po’ il motivo per cui è partito questo blog anni fa :-)
Molto interessante, per inciso, WebMention.io che non conoscevo.
28 Mar 2016

Prima Giovanni:
Per questi motivi l’asticella si alza: richiedere l’attenzione in modo così profondo significa meritarsela. La cura del canale mi immagino avverrà attraverso un’attenzione maggiore per quei dettagli che facciano diventare la news un elemento finale di una relazione più stretta che verrà a crearsi.
Poi Andrea:
Telegram può essere efficace e divertente solo se si condividono idee, impressioni, slanci del tutto personali, condividere link iper-specifici e iper-verticali. I canali non sono ricercabili da un motore di ricerca, bisogna essere quindi molto bravi a farsi conoscere. Si vince quindi o se si è già piuttosto famosi online, grazie alla presenza su altre piattaforme, oppure se si è abili a creare del contenuto di valore, non reperibile altrove.
Se deve essere un mero condividere link della propria testata o blog, per quello esistono già i feed RSS.
Credo che sia venuto anche il mio momento di condividere qualche pensiero sui Channels, una delle feature di Telegram che sta riscuotendo maggiore successo. Senza dubbio, a vedere come vengono utilizzati i canali da chi pubblica, e a vedere come ne fruiscono anche coloro che si iscrivono, è possibile portare alla luce ancora un tassello dello shift progressivo che sta subendo la comunicazione, la quale fa sempre più spazio, mollando pian piano il broadcasting, al “narrowcasting”, ovvero la pubblicazione di contenuti che interessa solo una specifica nicchia.
Telegram dà molta flessibilità da questo punto di vista, e i comunicatori più che abili stanno lentamente arrivando a questa inesorabile conclusione: l’adv non basta più, dà estremamente fastidio, non è nemmeno detto che converta così tanto, e sicuramente non converte quanto un brand che sa allacciare un rapporto così intimo con il proprio consumatore. Sono iscritto al canale di Andrea da un po’, mi piace l’utilizzo che ne fa: soprattutto, fa in qualche modo sentire i suoi lettori parte del suo processo di scrittura in primis, in secundis anche parte della propria “mente”, condividendo pensieri estemporanei in questa modalità push.
Un altro che fa un uso eccellente di Telegram, devo dirlo e mi fa piacere pubblicizzarlo (:D), è Michele, conosciuto principalmente come Sabaku dai fan di Dark Souls e dei giochi di From Software. Credo che, onestamente, in Italia sia il più preparato youtuber in materia di gaming; ed è meraviglioso come si sia avvicinato a Telegram per cercare un contatto più intimo con la sua fanbase. Altrettanto bello è come effettivamente chi lo segue sia contento di questa modalità: Michele condivide audio, condivide immagini, condivide tutto quello che gli passa per la testa. Considerato che lui pensa di “dare indietro” in questo modo qualcosa a chi investe su di lui su Patreon, io continuo a credere che lui faccia moltissimo, anche troppo.
In ogni caso, concordo con Andrea e Giovanni: i canali non sono un affare semplice. Per ottenere un subscribe, bisogna sudare e condividere contenuti originali; certamente il gioco non vale la candela se non c’è necessità (e nel caso ci fosse, il mezzo è un mezzo che mette a disposizione un pool di possibilità gigante). Viceversa, se pensate solo alle view e magari vorreste un meccanismo di adv per ottenere visibilità barando e dando fastidio agli utenti, lasciate perdere. Lasciate proprio perdere.
17 Mar 2016

Il pollo per la cena cuoce, e io me ne sto sbracato sul divano a pensare a un’idea illuminante per le slide del mio talk di domani a Codemotion, presso il corner di unconference organizzato da CodeInvaders. Siccome però allo stato attuale non mi va di fare una mazza, vi racconto un po’ di ieri sera.
Ieri sera infatti è stata la prima volta che presenziavo al raduno mensile di RomaJS, community nella quale ho ritrovato molti amici e conosciuto tante altre persone simpatiche che avevo già incrociato – a riprova che si, a Roma alla fine siamo sempre gli stessi :-D
Devo dire che non ero mai stato agli eventi precedenti e se fossero tutti come quelli di ieri sera il livello medio sarebbe altissimo: dopo un’introduzione di Claudio Mantuano alle Classes di ES6, che sono un modo fico e più “convenzionale” di far capire la catena prototipale ai profani, Piero Savastano ha narrato addirittura in inglese cosa sia il machine learning, e come utilizzare librerie di machine learning con NodeJS; non solo: ha anche spiegato i punti di forza di Javascript quando si parla di questa tematica, e dato che il binomio fa alzare un sopracciglio, ha chiaramente circoscritto le aree di applicazione di quanto detto e consigliato anche soluzioni più appropriate.
Dopodiché, hamburgerozzo per tutti. Il quale, chiaramente, è stato condito da discussioni oscillanti tra la connotazione tecnica e la pazzia più totale:
Il Perl minificato è più leggibile di quello normale!
Insomma, che dire: sono sicuro di esserci anche la prossima volta :-) E anche voi, se siete romani, mettete il like alla pagina Facebook per essere aggiornati. In ogni caso, ogni terzo mercoledì del mese andate in Enlabs verso le sette.
Photo courtesy of Luca Lanziani