COVID-19 tra remote working, routine abbandonate e crisi di identità
Avevo in mente da tanti giorni di scrivere qualcosa di strutturato riguardo al lavoro remoto, a questo COVID-19 che ci costringe dentro casa, ma la verità è che mi sento un po’ stanco e non riesco a scrivere per bene, il che è strano. Da una parte mi sento inibito, perché scrivere qualcosa tipo “come tirare fuori il meglio dal lavoro remoto” mi sembrerebbe irrispettoso verso le persone che per questa pandemia stanno male sul serio, dall’altra fatico davvero tanto ad aprire Facebook, a leggere notizie di attualità.
E devo ammettere che mi pesa rinunciare a una routine che si era venuta a stabilire negli anni con la mia bellissima scrivania in ufficio, un posticino che mi sono curato per tanto tempo e a cui adesso mi è così difficile pensare in ottica di abbandono. Strano che a dire questo sia proprio io, che come “cornerstone” della mia vita lavorativa ho:
- Un approccio remote-first
- Un mood generale non proprio di un animale da ufficio
- Vent’anni alle spalle passati a una scrivania, in camera mia, a casa mia e dei miei, in un paesino fuori Roma
Essendo cintura nera di remote working per questi e altri motivi, volevo scrivere qualcosa appunto ma mi riesce difficile, e devo ancora approfondire il perché. Viceversa sto leggendo tanto: Lorenzo e il suo viaggio dentro Animal Crossing, Andrea che da bravo narratore e comunicatore quale è racconta la sua quarantena giorno dopo giorno. Volevo anche scrivere qualcosa in più sulla quarantena, ma dato che ne parlano tutti alla fine mi viene il magone perché io penso che sia fichissimo vivere questo profondo periodo di cambiamento e magari nel frattempo qualcuno dentro un letto d’ospedale sta tirando le cuoia.
Insomma, c’ho una crisi d’identità.