02 Sep 2018
Oggi è il compleanno del blog di Andrea. Andrea è uno fico, uno che seguo stabilmente e che seguo da un sacco di tempo. Ad aiutarmi a farlo, oltre il feed RSS, anche un bellissimo canale Telegram dove condivide post e sporadicamente qualche piccola riflessione. Andrea lo trovo fico (sì, ancora) perché non si arrende, e perché attraverso il suo approccio al web fa spesso riflettere anche me, che non ho smesso di tenere un blog in più di dieci anni, e che considero Grab The Blaster una tra le cose più importanti che ho attraverso le sue molteplici incarnazioni e le miriadi di stili di scrittura che contiene.
Non ci pensavo, ma questo angolo di web che continua a raccogliere le mie nerdesche memorie ha compiuto undici anni qualche mese fa. Oltre a stappare le bollicine, trovo molto vicino quello che ha scritto Andrea, soprattutto perché alcune volte mi sono divertito, durante questi anni, a guardarmi indietro e notare come il mio scrivere si sia modificato, insieme agli argomenti che trattavo. Dalle riflessioni di ordine personale, ai giochi per PlayStation, a Linux, al web, alla programmazione. Alla programmazione funzionale.
Ma soprattutto dal quindicenne che ero, con i punti esclamativi e le virgole messi in un certo modo, all’adulto che sono, con tutto quello che ne deriva. Guardare indietro su questo blog è come guardare un intimo album di foto che in fondo è la più fedele rappresentazione di me che esiste. E non esiste social che tenga, non esiste foto di copertina o foto del profilo che possa compensare quello che è capace di scrivere una persona, nel bene o nel male, ma soprattutto senza limitazioni dovute ai caratteri e alle logiche insite nella piattaforma.
Guardiamoci intorno. Avevamo una cosa meravigliosa, una piazza aperta e decentralizzata dove ognuno poteva essere il nuovo Martin Lutero e affiggere le sue novantacinque tesi. Abbiamo finito per trasformare anche questo sogno in qualcosa di centralizzato, dove l’Occhio di Sauron può vedere tutto e se gli sfuggi sei tu che ci perdi in visibilità. Ma visibilità di cosa poi? Dei contenuti che lui, grazie a quello che noi scienziati chiamiamo “machine learning”, ovvero una sconfinata distesa di esempi di “questo va bene - questo va male”, vuole proporci.
È per questo che mi ritrovo particolarmente nelle parole di Andrea:
Per me è il ricordo di non abbandonare me stesso a luoghi altri dove il mio contenuto si perderebbe in rigagnoli fatti di algoritmi e logiche di business avulse ad esso.
Altrove, io mi perdo. Qui è uno dei pochi posti dove ritrovo me stesso, digitalmente e materialmente parlando. Ed è per questo motivo che non credo che abbandonerò mai il mio blog.
Ho cominciato a postare in maniera più consistente su Instagram. Lo trovo carino, mi permette di associare ad un’immagine in formato 1:1 (tipo Polaroid) un piccolo post-it con dei pensieri volatili. È però qualcosa che considero di seconda categoria, non perché non siano contenuti di qualità, ma perché nel momento in cui tappo il pulsante “Pubblica”, quelle foto e quei pensieri vanno a finire sul server di qualcun altro. Qualcun altro che un giorno chiuderà baracca e burattini, e andrà tutto perso. Qualcun altro che nasconde ciò che penso e ciò che vedo per privilegiare post sponsorizzati di utenti con i follower spesso e volentieri comprati. Un regno dove le metriche, volentieri alterate, hanno la meglio sulla qualità. Un regno dove malvolentieri ti metti il cuore in pace sul fatto che se fai qualcosa di strabiliante non verrai notato da nessuno.
Certo, in realtà nemmeno il blog rappresenta più questo. Sono sicuramente finiti i tempi in cui se avevi un blog rischiavi di venire letto da milioni di persone. Sono ormai questi i tempi in cui pubblicherò questo post, poi lo condividerò su Facebook, e forse riceverò come è normale che sia più commenti lì che qui. Ma non mi disturba: l’importante è che il mio blog sia il fulcro di tutto questo. E che permanga.
Il New York Times mi affascina sempre tantissimo, data l’avanguardia che propone nei processi di progettazione del software e nel design. In questo articolo, come hanno progettato la nuova home page trattando anche i feedback dei lettori.
04 Aug 2018

Qualche giorno fa mi ha colpito una cosa che ho visto passarmi sotto gli occhi: si tratta delle nuove icone che il team di design di Firefox (ovviamente di Mozilla) sta pensando per le nuove versioni. Avevamo avuto un redesign anche per il recente aggiornamento dell’interfaccia, ma è stato solo un piccolo ridare forma all’icona del volpone che tutti amiamo, mentre con questo aggiornamento abbiamo qualcosa di più corposo.
Viene definito a monte infatti il Firefox brand, ovvero una intera famiglia di prodotti di cui alcuni esemplari già visibili a noi mortali come Firefox Focus, il browser dedicato alla privacy. In base ai due design system proposti e in base al logo che rappresenta il brand principale, poi tutto il resto viene di conseguenza.

Come sempre la procedura non può essere influenzata dall’esterno, ma dato che Mozilla ha adottato una strategia di open design già da prima di Quantum, chiunque di noi può vederne ogni passo anche solo per trasparenza e per (in)formazione. Chissà come andrà a finire e che icone avremo sui nostri desktop tra qualche mese.
Intanto un paio di note a margine:
- Adoro sia la masterbrand icon del System 1 che quella del System 2;
- Le icone per i browser del System 1 sono più giocose e meno formali, le seconde sicuramente più professionali;
- Forse per il resto il System 2 mi convince di più.
E voi? Eh? Oh.
29 Jul 2018
Avete presente quei regali che arrivano inaspettati? Tipo quando non è il tuo compleanno, non è Natale, non è nessuna ricorrenza particolare. Eppure qualcuno che ti ama decide di metterti al corrente, ricordarti, stamparti su carta bollata quanto ti vuole bene.

Pochissime settimane fa è successo a me (si, proprio a me), quando Agnese, la mia ragazza, ha fatto qualcosa di totalmente inaspettato: nella mia mail ho visto atterrare una lettera dall’oggetto che recitava “Your The Big Elixir Ticket”, e quando le ho chiesto spiegazioni – perché a dire il vero mi aveva accennato qualcosa – la sua risposta è stata solo “buon compleanno in anticipo”. Ho pianto.
Tutto questo per dire cosa? Beh, che sono felice come un bambino in un negozio di caramelle, che New Orleans aspettami che arrivo, che la mia fidanzata è un vulcano di figaggine perché è riuscita a incastrare il nostro viaggio negli Stati Uniti con una conferenza che le avevo detto che mi sarebbe piaciuto vedere (regalandomi pure il biglietto). E così posso dirlo: per The Big Elixir, a New Orleans, l’8 e il 9 Novembre, ci sarò anch’io grazie a lei.
The Big Elixir è una conferenza completamente dedicata ad Elixir (come dice il nome stesso), dove saranno presenti tra gli speaker:
Già solo quando ho visto questi tre nomi ho cominciato a saltare come una molla. Non mi sembra vero di avere l’opportunità di parlare con loro dal vivo per chiedergli da quali concetti hanno preso maggiormente ispirazione, quali difficoltà hanno incontrato, e com’è magari lavorare con Elixir ogni giorno (soprattutto riguardo le rotture di, ehm, bolas).
Aspettatevi novità direttamente da New Orleans quando sarà Novembre. Stay tuned, state tonnati 😎
dottorblaster |> the_big_elixir()
P.S.: I owe many thanks to Joe Ellis and the team behind The Big Elixir for allowing my girlfriend to better organize our trip giving her details and help when needed. You were awesome and you really made our day/week/year!
23 Jul 2018

Da qualche mese mi è arrivato il computer aziendale nuovo. Voi mi direte, beh, che novità è mai questa? E invece io vi dirò che non solo è un evento non banale perché mica è così scontato che un’azienda dia ai dipendenti l’equipaggiamento, ma tutto questo è ancora più pregno di significato perché il mio laptop aziendale è un MacBook Pro di nuova generazione (per intenderci, quelli colorati Space Gray). Oltre al colore bellissimo e a tutte le considerazioni estetiche che possiamo fare in libertà, questo MacBook mi ha permesso di provare su strada la scelta di Apple di sostituire l’attacco MagSafe con uno slot USB Type-C a cui ovviamente è associato un nuovo tipo di caricabatteria.
Qualche settimana fa dall’alto del mio metro e settanta quasi metro e ottanta mi sono guardato (lo so che non si dice) il mio laptop e il mio caricabatteria e ho deciso di stilare una lista dei pregi e dei difetti di questo nuovo caricabatteria USB-C.
Questi i pregi:
- È comodo avere un caricabatteria USB-C in più. Avendo anche uno smartphone Android con attacco USB-C (il mio caro Nexus 6P), posso ricaricarci sia il computer che il cellulare.
E basta.
Veniamo ai difetti:
- Ancora un altro tipo di alimentatore? Ormai comincio a credere che Apple abbia una politica di obsolescenza programmata specifica per gli alimentatori, una cosa sadica per cui se ti si rompe l’alimentatore del tuo MacBook di quasi dieci anni fa ormai sei nelle piste e ti conviene votarti a Satana (o Santana, dipende se hai bisogno anche di un assolo) e prostituirti per comprare direttamente un portatile nuovo. Perché ricordiamo che nei vecchi MacBook c’era un MagSafe, che è stato poi cambiato in favore di un altro attacco. E ora abbiamo questo bellissimo connettore USB-C, così diverso da quello che c’era prima che viene quasi da chiedere ad Apple se si sta divertendo.
- Non vorrei mai inciampare in un cavo teso attaccato al mio nuovo MacBook – perché mentre con i modelli precedenti ho sempre potuto fare il casino che volevo, tanto l’alimentatore in caso di inciampo si staccava da solo preservando il portatile da cadute fortunosamente accidentali e il sottoscritto da bestemmie assolutamente intenzionali, con questo mi porto appresso tutto, e le profanità che prima erano solo paventate hanno una probabilità elevatissima di tramutarsi in realtà.
- Ammazza che mazza! I cavi USB-C sono mastodontici in spessore rispetto a quelli usati nei MagSafe, il che significa che mentre prima potevamo flettere il nostro cavo di alimentazione (con i rischi che ne derivavano), in questa veste abbiamo un cavo assolutamente più rigido e “importante” come dimensioni. Non è niente di che, ma giacché siamo lamentosi tutto fa brodo.
- Come corollario del punto precedente abbiamo questo: avete presente le bellissime e piccolissime staffe a L che uscivano dal caricabatteria e ci permettevano di arrotolare il cavo? Una trovata di design eccezionale, secondo me, che con questo modello è andata a farsi benedire. Le staffe sono state eliminate, costringendoci a piegare nei modi più fantasiosi il cavo che è troppo spesso per essere arrotolato in quel modo.
- In coda a tutto questo, un difetto fondamentale: se voglio caricare il computer e attaccare un paio di monitor esterni o qualche altro tipo di periferica sono condannato a comprare uno di quegli adattatori maledetti che infatti sono stato costretto a prendere, perché è letteralmente impossibile pensare di usare un computer con questa concezione alle spalle senza un adattatore che ci aiuti a rendere compatibile tutto quello che abbiamo avuto finora con un futuro dove tutto quello che abbiamo costruito è diventato obsoleto in nome di una miniaturizzazione che onestamente lascia il tempo che trova. Ma questa sono convinto che sia una storia da raccontare un’altra volta, come scrisse Michael Ende.
Ti stai solo lamentando
Certo. È vero. Ed è anche vero che in realtà ci sono delle cose positive di Apple che adotta l’USB-C insieme ad altri produttori. Io però sono convinto che questi tratti positivi non siano per niente inerenti l’esperienza utente, che viene solo martirizzata in nome di un ideale di innovazione che finora ha prodotto solo mostri. Allo stesso tempo, guardo gli altri produttori e mi chiedo se veramente quello che abbiamo intenzione di fare è spingerci così tanto a comprare attrezzi che hanno così disperatamente bisogno di altri attrezzi non appena usciti dalla scatola – attrezzi che non abbiamo, e che siamo condannati a comprare subito pena non poter usare più niente del nostro “vecchio repertorio” di penne USB e cavi di rete (per dire).
Apple pensa solo al futuro? Può essere, ma io per trasferire un film da computer all’altro ho dovuto aspettare due giorni per rientrare in possesso del mio adattatore. E questo è il presente.