Final Fantasy VII Remake – ho giocato la demo e ho pianto come un vitello
Non ricordo se avevo otto o nove anni, arrivò a scuola in uno zaino di qualche compagno, trafugato al fratello più grande, un numero di “Giochi per il mio Computer” che recava trucchi, soluzioni, ma soprattutto una stordente scena prima di copertina dedicata a Final Fantasy VII e a quello che di lì a poco sarebbe diventato uno degli idoli della mia infanzia, il glaciale Cloud Strife. Final Fantasy VII era appena uscito, ed era tutto un parlarne; anche quando a poca distanza la Square (la casa produttrice) per flettere i muscoli e far vedere di che pasta era fatta mise sul mercato Final Fantasy VIII – il successivo capitolo della saga con una grafica rinnovatissima – Final Fantasy VII faceva comunque ancora parlare di sé, e lo avrebbe fatto per decenni.
Mentre Final Fantasy VIII era per forza di cose più chiacchierato dalle persone della mia generazione per via soprattutto del fatto che era il primo Final Fantasy completamente in italiano, un po’ di bambini (inesperti) e ragazzi (decisamente più facilitati dall’età) avevano deciso di superare la barriera linguistica di un gioco così complesso completamente in inglese scoprendo un potenziale infinito, un sistema di combattimento clamoroso ma soprattutto una trama da far accapponare la pelle. Giocato e rigiocato, solo anni dopo mi sarebbe venuto il pallino di finirlo guardando qualche soluzione online (perché nel frattempo Internet aveva fatto il suo ingresso nelle nostre vite): il più grande ricordo che ho di Final Fantasy VII ad oggi è il gioco nel quale per anni e anni sono stato bloccato (tra gli enigmi e l’inglese era veramente tosta farsi strada), eppure nemmeno per un minuto ho ceduto alla frustrazione di stare fermo e non proseguire nella storia. È l’unico gioco che mi abbia mai cullato anche nel momento in cui non riuscivo ad andare avanti. E quando poi ho capito come girare intorno ai miei ostacoli, ho potuto finalmente finire quello che durante l’infinito margine temporale speso a combattere, livellare, evocare, correre e sostanzialmente mandare storto il piano del malvagio Sephirot, era diventato il mio gioco preferito di sempre.1
Non li ho giocati tutti, perché per me Final Fantasy VII sarebbe stato un fenomeno irripetibile: mi è piaciuto molto Final Fantasy VIII, ho amato Final Fantasy IX, ma non è mai stata la stessa cosa. Nel 2016 ho deciso di giocare Final Fantasy XV dopo un sacco che non ne giocavo uno (non ho giocato nemmeno il X, che tra i miei coetanei andò fortissimo), principalmente perché dopo un po’ di casino a fronte delle ultime uscite Square Enix aveva deciso di rinnovare completamente il sistema di combattimento della sua saga più blasonata: non rimasi deluso. Mi ha regalato ore indimenticabili, e tantissime sorprese a fronte di una trama davvero curata anche se con un protagonista un po’ deboluccio ma perfettamente innestato all’interno di un panorama generazionale dove gli stereotipi erano ormai cambiati e l’eroe “simil-macho” del passato non poteva funzionare più in alcun modo.
Oggi ho pianto. Quando ho iniziato a giocare la mia demo di Final Fantasy VII Remake ho detto ad Agnese che mi osservava sconvolta che non mi aspettavo di vivere abbastanza per vedere questo giorno. E lo credevo davvero: dopo dieci anni di trailer a mozzichi e bocconi, non credevo che veramente Square prima o poi avrebbe fatto uscire il nuovo Final Fantasy VII. La mia non è l’opinione di un esperto, e non pretendo che la prendiate come un distillato di sapienza; è il parere di un appassionato, e va visto sotto quella lente. Sappiatelo :-)
Action o RPG? Un po’ tutti e due, dai
La meccanica action mista RPG che aveva quel tocco di hack ‘n slash per alcuni è stata una mazzata quando c’è stato da approcciarsi a Final Fantasy XV; in questo caso è stata rivista ancora una volta, e ovviamente migliorata. La cura particolare che personalmente ho notato all’interno di questa demo è relativa al fatto che ogni personaggio ha le sue abilità e le sue peculiarità, addirittura Barret può sparare a cannoni di guardia a cui Cloud non può arrivare. Il game design è spaziale, e anche se solo con due personaggi (per il momento) si intuisce molto bene il potenziale gameplay con un party “completamente carico”. Nel bel mezzo della battaglia ogni personaggio può essere istruito tramite un menù durante la navigazione del quale il tempo arriva quasi a congelarsi, e che ci dà tutto quello che ci dava il precedente sistema di combattimento: Abilità, Oggetti, Magie, altro; ma non appena abbiamo fatto la nostra selezione tattica, veniamo catapultati nel bel mezzo dello scontro action dove lo spadone di Cloud la fa da padrone in maniera superfrenetica.
In sostanza, già nel capitolo “precedente” aveva dei nei e li ha mostrati tutti, ma questo sistema di combattimento personalmente mi ha impressionato e mi ha fatto godere della trama del primo capitolo, l’attentato al reattore Mako, esattamente nel modo in cui doveva: gli scontri sono ben posizionati e la frenesia tra uno scontro e l’altro tiene il ritmo della narrazione al cardiopalma, fino a farci scontrare col bossazzo, il Vigilante Scorpio che già vent’anni e spicci fa ci aveva fatto saltare sulla sedia. Solo che stavolta non ci sono i quadratoni, non ci sono i triangoloni, è tutto superbamente animato in 4K con una grafica che RAGAZZI.
Tutto è bagnato da una luce nuova
Una cosa su tutte mi sconvolge: nel mio totale candore di bambino, complice la grafica “retro” (che per il tempo era ‘na bomba! Ma purtroppo oggi come oggi fa veramente ridere) non avevo nemmeno capito che Jessie fosse una ragazza, e ovviamente altrettanto complice la barriera linguistica non avevo mai colto tutti i minidialoghi in cui lei ci prova spudoratamente con Cloud. La sequenza iniziale appare sotto tutta un’altra luce con questa nuova eccellente grafica, e per la prima volta non sono così pigro da pensare “che palle, me la dovrò pure rigiocare”.
Ho letteralmente pianto quando ho sentito il peso del pad in mano e ho visto il livello di dettaglio del treno che porta i nostri ecoterroristi dentro la centrale Shinra. Penso che siano state utilizzate le massime risorse disponibili nel nostro tempo esattamente come allora, per giungere al massimo risultato ottenibile esattamente come allora; e non c’è una parte di me che pensa che non sia valsa la pena di attendere e che i soldi della Square siano stati spesi male.
La sensazione è quella di un gioco nuovo, che si discosta dall’originale quanto basta per strizzare l’occhio a qualche cambiamento, ma che per il resto rimane fedele come il capo della servitù di una magione che si era lasciata da tempo e alla quale si ritorna: un leale passatempo che ti prende la mano e ti dice “sono sempre io, adesso ti faccio piangere un po’ di nostalgia” – e però la nostalgia non c’è perché in quel momento sei contemporaneamente l’adulto sul divano di casa sua e il bambino sul divano di casa dei suoi. E tutti e due, insieme, accompagnate Cloud nell’abisso del reattore Mako.
Sono più di tre mesi che non scrivo niente sul blog, le ragioni sono molteplici. Volevo tornare con qualcosa che sentissi davvero mio. Final Fantasy VII Remake è stata la migliore occasione per ricominciare a gettarmi su questo taccuino digitale.
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Io non so se quello che sto scrivendo si capisce: lo scrivo di getto, comprese le footnotes. E spero davvero si capisca quanto sono emozionato, ecco ↩