Il blogging alla fine del 2019
Quante riflessioni si possono ancora fare sul tema blogging quando nel frattempo la Rete va a farsi friggere, nessuno è più padrone di niente, mastodonti dai nomi altisonanti si appropriano di contenuti che noi decidiamo di dargli per alimentare algoritmi che fanno solo la nostra infelicità e frustrazione? Diciamo infinite, e diciamo pure che io sono una persona semplice: Andrea fa un post su quanto è necessario prima ancora che fico e facile avere un blog alla fine di questo pazzo 2019, io banalmente lo riprendo e lo commento.
Tuttavia, nel mentre si aspetta una “riforma” delle piattaforme CMS, i creatori di contenuto devono e possono darsi una mossa. È tremendamente facile aprirne uno e non ci sono scusanti.
Addirittura “ai bei tempi” pensavamo che chiunque avrebbe aperto un blog. Per un periodo è stato così, grazie a Splinder e IoBloggo, o altre piattaforme simili; poi sono arrivati i “walls”, è arrivato Facebook, è arrivato Twitter, e tanti saluti a chi non solo non aveva voglia di mantenere uno strumento così complicato, ma non aveva nemmeno contenuti così “ad effetto wow” da condividere.
Così per tutto quello che nessuno vorrebbe leggere su un blog, per i nostri “garbage post” ci siamo rifugiati su piattaforme che non accentuassero la memoria delle nostre corbellerie, gettandoci a nuoto in un fiume in piena che porta via qualsiasi cosa consentendocene la visione solo poche volte, creando discussioni brevi e non approfondite. Forse il genere umano in maggioranza ha paura dell’approfondimento? Su Facebook è raro vedere un bel thread dove due persone evolvono la loro opinione in un dibattito normale. È raro persino vederlo nella vita normale. Ma in più di qualche occasione mi è capitato di leggere dei blog post e dei commenti a questi post veramente da cornice istantanea.
Qualche ragione stringata per cui un blog è una sfida con sé stessi:
- Il boxetto di Twitter o di Facebook crea meno ansia da prestazione e non ti dà quell’impressione da blocco dello scrittore che avrebbe l’utente medio di internet;
- Per via del punto di cui sopra, poco sforzo: zero customizzazione, scrivi “fart”, prendi qualche like, ti parte il picco di adrenalina masturbatoria da reaction su social network, e la giornata l’hai portata a casa;
- Le persone non hanno tempo di sedersi davanti al computer, darsi una calmata e fare/scrivere qualcosa di strutturato;
- A ben pensarci, forse le persone non ne hanno neanche voglia;
- Uscire dal gioco significa dire no a quello che non ti piace ma anche a quello che ti piace: quante persone smetterebbero di volere il like degli amichetti sotto il post del giorno?
- il successo di Instagram (e TikTok?1) dimostra che la civiltà contemporanea che abita l’Internet propende per immagini, spesso senza un senso associato e senza una caption strutturata, perché scrivere è troppo sforzo e leggere lo è altrettanto.
Eppure dal mio punto di vista avere un blog (o molti blog – se si scrive tanto e di svariati argomenti) è fichissimo, anche se per esempio nemmeno io riesco a scriverci quanto vorrei.
- Hai spazio per contenuti strutturati;
- Sei costretto a rileggerti se hai scritto una cacata;
- Puoi eventualmente scrivere cose brevi e nessuno ti sparerà per questo;
- Ti guardi allo specchio: mentre scrivi vieni profondamente a contatto con quello che pensi di un determinato argomento, e lo discuti prima di tutto con te stesso;
- Come Alan Jacobs consiglio l’elderblog sutra di Venkatesh Rao. Sono riflessioni interessanti, io stesso non ho avuto ancora il tempo di leggerle e metabolizzarle tutte.
Alan ha ragione:
So one of the things I want to be thinking about is: How can I encourage readers of my blog to seek some of the benefits that I get from it?
-
Veramente la gente sta appresso a TikTok? C’è un affare identico che avevano creato i founder di Twitter qualche tempo fa, si chiamava Vine e faceva la stessa cosa. Perché le persone se ne sono sbattute le gonadi di Vine e adesso non si fà che parlare di una piattaforma uguale? ↩