Instagram, tra founder che lasciano e una piattaforma stravolta
Nella rete le notizie corrono veloci, e ormai tutti sanno che Kevin Systrom e Mike Krieger, i due fondatori di Instagram, stanno lasciando la società. Ma questo perché accade? Il New York Times ne parla in maniera abbastanza nebulosa, ed è pur vero che segnali più forti non farebbero bene né ai ragazzi né alla società stessa:
Mr. Systrom and Mr. Krieger did not give a reason for stepping down, according to the people, but said they planned to take time off after leaving Instagram. Mr. Systrom, 34, and Mr. Krieger, 32, have known each other since 2010, when they met and transformed a software project built by Mr. Systrom into what eventually became Instagram, which now has more than one billion users.
Biasimarli proprio non posso. Questi due ragazzi hanno costruito un’applicazione in una notte, che consentisse di scattare delle foto in formato 1:1, ritoccarle per dar loro un effetto vintage (analogico), e condividerle su una timeline. Nessuno di loro (e nessuno in generale) ha mai voluto diventarci ricco, né immaginava che questo piccolo prototipo portasse a uno dei più grandi business del nostro tempo.
Nessuno di loro immaginava di aver dato il via a quella che nel bene o nel male possiamo definire come una rivoluzione culturale ed estetica, che lega ancor più indissolubilmente un essere umano col suo modo di apparire, creando distorsioni e crepe nello specchio della realtà.
Instagram non è più quello che era una volta, e forse il social networking nel suo complesso non è più quello di un tempo. Ce lo ricorda Andrea condividendo John Oliver:
“Facebook’s global expansion has been linked to political turmoil overseas, so maybe their ads should focus less on how they “connect the world” and more on why connecting people isn’t always the best idea.”
E sempre Andrea qualche settimana fa mi ha ricordato in maniera leggermente più gradevole di come abbia fatto il mio analista come sia importante l’essenza dell’essere qui, ovvero che non serve a niente essere proiettati altrove, e bisogna mantenere il fulcro di sé stessi, ancoràti al presente. A volte anche partendo dai propri “luoghi” online.
È in questa sagra dell’apparire innestata nella decadenza della civiltà dell’informazione che è da contestualizzare l’addio di Systrom e Krieger. E forse è ora di tornare a creare i nostri spazi piuttosto che aderire ad un sistema economico1 che arricchisce inabili ai danni dei contenuti di qualità.
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Dove la moneta è l’apparire unito a delle metriche che più effimere, alterabili e soggettive non si può. Tra l’altro, può ancora essere considerato “contenuto” qualcosa che viene prodotto e pubblicato su Instagram? O i post sono talmente tanto effimeri, e noi talmente sommersi di input da aver bisogno della funzionalità di “save post” per ricordare dove sono le cose interessanti che abbiamo visto, che la pubblicazione può essere catalogata nei “riflessi”, come se anche i post fossero storie, raccontate e poi sparite, che hanno l’unico pregio di rimanere visibili sul profilo? Ma soprattutto, che frase lunghissima e difficile da leggere ho partorito? Però se vi leggevate le note a piè di pagina di Foster Wallace, adesso vi beccate anche le mie. Il mio pregio è che io non mi impicco. ↩