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Open Data (e Open Source) - La narrazione viene dopo

Open Data

Andrea Raimondi sul suo wall di Facebook ha appena pubblicato un pensiero che mi permetto di riprendere senza averlo avvisato prima:

Inutile e sbagliata la narrazione che cerca di fare uscire gli opendata dalla cerchia dei tecnici. Primo, se questi non sono stati in grado fino ad ora di soddisfare gli obbiettivi che si sono dati, non si vede la ragione per la quale la situazione dovrebbe cambiare una volta coinvolti i cittadini.

Secondo, se i cittadini davvero fossero questo elemento magico di cambiamento, allora non si vede quale sia il vantaggio di avere dei “tecnici” a disposizione.

Un “tecnico”, o meglio un professionista, non deve chiedere partecipazione sul piatto, deve fare ricerca, studiare e disegnare open business models validi, riusabili, e socialmente sostenibili. Per trasformare l’idea di cambiamento che il movimento tanto sostiene in tante opportunità reali di sviluppo.

Allega anche un link ad un post interessantissimo di David Eaves, The dangerous mystique of the “open data” business:

The danger with putting the words “open data” before the word “business” is that it risks making people think Open Data businesses are somehow unique. They are not. If there is a gapping chasm between the question of “what can I do with software” and “how can I create a viable software company” there is an equally large gap between “what can I do with open data” and “how can I create a viable company using open data.” And the questions you need to ask yourself to figure out that latter question (many of which are nicely laid out in this book) are independent of whether it is a software, hardware, crafts or open data business.

Indeed open source software space gives us a nice analogy. I suspect few people decide to create an open source software company – they decide to create a company and the software license is a reflection of their strategic options. I think it is the same with open data. You don’t start a company saying “let’s use open data.” You start a company to solve a problem, of which using or publishing open data may be the only, or the most strategic, way of doing this.

Tutto questo è interessante, perché si pone nel mezzo della ormai annosa diatriba tra i tecnici dell’ecosistema dei dati (aperti e non), e gli storyteller che provano affannosamente a volte a racimolare materiale per un racconto decente. Io sono abbastanza d’accordo con quanto detto sopra, perché a prescindere dalla mia passione per l’apertura del codice, e l’apertura dei dati al pubblico per una fruizione sia attiva che passiva, quello che emerge è che per chi ha il compito morale e materiale di raccontare una storia, a volte l’aspetto “open” risulta essere un fine, e non un mezzo.

Sforzarsi di girare il calzino e osservare le cose dalla prospettiva opposta, cioè quella corretta orientata al risultato finale, può essere per chi vuole far filosofia di tutto questo (non business, badiamo bene) un esercizio stimolante e costruttivo.

Io, dal canto mio, ringrazio Andrea per aver spezzato una lancia a favore di chi dai dati vuole tirarci fuori risultati veri.

Photo courtesy of Open Data Institute Knowledge for Everyone

P.S.: dimenticavo. Buon Open Data Day a tutti :-)

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