Alessio Biancalana Grab The Blaster di Alessio Biancalana

Open source: quando il closed incombe

Oggi Patryk su Twitter ha fatto una domanda abbastanza intelligente: "ma se io se cambiassi licenza (dalla GPL) al mio software nella prossima versione, sarebbe legale?" - ora, a prescindere da tutto, la domanda non è per niente banale, tan'è che la General Public License in un punto ammette proprio che sia possibile cambiare licenza, a patto però che tutti i contributori del progetto siano consenzienti, per ovvie ragioni di proprietà del diritto d'autore e della proprietà intellettuale. Al che è sorto un bel discorso anche con altri; è giusto infatti che da una versione all'altra un software diventi proprietario?

tl;dr: per me si. Ma andiamo per gradi.

Libertà

Come diceva Voltaire, la libertà è tale finché non danneggia quella degli altri; ebbene, a prescindere dai contributor potenziali di un progetto open source, abbiamo da una parte gli sviluppatori e dall'altra gli utenti divisi da un gap abbastanza profondo: gli sviluppatori a volte sono costretti a prendere delle vie che nemmeno a loro piacciono, eppure debbono farlo. E se per qualche motivo al proprietario del diritto d'autore non potesse essere permesso di cambiare la licenza in tempi successivi alla prima versione, questo sarebbe assolutamente restrittivo anche nei confronti dell'artefice del software. E se la libertà è tale finché non danneggia quella degli altri, chissà cosa dovrei pensare di qualcosa che danneggia in primis la mia, di libertà.

In vino veritas

C'è poi il punto fondamentale della "verità del vino", ossia che in alcune occasioni - diciamocelo - mantenere un layer di sviluppo in ottica proprietaria può fare la fortuna di alcuni progetti, anche con successivo rilascio di codice. L'esempio più lampante è quello di una compagnia che vuole imprimere al suo prodotto un form factor caratteristico che magari la comunità distorcerebbe - senza per questo essere nazisti come mi diceva Rosario ieri sera mentre eravamo seduti davanti al nostro lauto aperitivo.

Brain

In fondo a volte la comunità è come una donna: nonostante tutto, ci sono casi in cui cerca di cambiare tutto nel software, e quando ci riesce poi dice che non gli piace più. Mi scuso con le donne per il riferimento sessista, ma dovete ammettere che ci stava. :)

In alcuni casi quindi il non-rilascio del codice e il mantenimento del tutto ad uno status quo declinato in una licenza proprietaria non è necessariamente un male: in fondo ad un livello successivo l'azienda, o chi per essa, può sempre decidere di riaprire lo sviluppo anche rendendolo community-based e svincolando di fatto sé stessa da tutta l'attività di licensing.

Everything but licenses (but use GPL)

Questo paragrafo lo intitolo riprendendo una celebre frase di Matt Mullenweg, il creatore di WordPress e CEO di Automattic. Sul palco di non mi ricordo quale WordCamp, alla faccia del fact-checking, disse: "Open source is everything but the license (but use GPL)". Questo significa che tutta la nostra attività di sviluppo in ambito open source dipende da una serie di fattori che dopo un rapido controllo sono effettivamente verificabili come aventi poco o niente a che fare con una licenza software: d'altronde le licenze copyleft sono state create per fronteggiare i colossi e le dotcom dei miei stivali che già dagli anni '80 scorrazzavano senza timore per la Silicon Valley uccidendo l'innovazione libera sfruttando una serie di cavilli burocratici per togliere le licenze d'uso ai concorrenti. Qualcosa di molto vicino al patent trolling di oggi.

Quindi, la conclusione è: non state a guardare il pezzo di carta. Programmate liberi, distribuite, moltiplicate il software come i pani e i pesci. Ma possibilmente, rendetelo open source.

Photo courtesy of JD Hancock

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